Impegno sociale, politico e culturale nel teatro canzone di Neri Marcoré.”Quello che non ho”, produzione del teatro dell’Archivolto di Genova, debutta presso il teatro Biondo di Palermo.
Fabrizio De André e Pierpaolo Pasolini si incontrano tra pagine, note, parole e, stringendosi la mano, costruiscono un dialogo onesto e reattivo sulle criticità, turbolente, tragicomiche e irrisolte del mondo contemporaneo. Prodigio del teatro canzone, nasce così “Quello che non ho”. Drammaturgia e regia, intrecciate, mimetiche, equilibrio del tutto, recano la firma di Giorgio Gallione. Mattatore poliedrico della scena l’attore genovese Neri Marcoré.
L’ispirazione sorge dai cosiddetti articoli corsari di Pierpaolo Pasolini, indagini senza requie dell’Italia compatta e contorta a lui coeva. Lucide profezie apocalittiche, che narrano dell’abbrutimento etico e antropologico in atto nella società. Regressione ineluttabile verso una preistoria della civiltà. Tali tormentati intermezzi di un passato remoto convogliati nel divenire claudicante del presente vanno a costruire monologhi fluidi e pregni di sagace impietosa analiticità.
Si sfiorano tematiche e argomenti disparati, ma lo spettacolo si impegna a raccontarne l’anima profonda coinvolgendo ad ogni piè sospinto.
Si resta muti ed esterrefatti dinnanzi alla crudezza e insensatezza del consumismo, del business sfrenato che sfocia in una generalizzata decrescita economica e in un inquinamento criminoso.
Ci si stupisce del surrealismo di certa politica, colta in flagrante mentre disquisisce con ufficialità parlamentare di introvabili gadget Disney da collezione (la mucca Clarabella distribuita nelle confezioni dell’acqua minerale).
Ci si affrange dal razzismo che serpeggia sia nell’opinione pubblica che tra gli organi di legge allorquando, di fronte ad una tragica fatalità ed alla mestizia della morte, si rivolgono con modi e toni differenti ad una famiglia d’etnia Rom e ad una famiglia d’origine Italiana.
E’ il grottesco che avanza, l’imbarbarimento irreversibile della specie umana che lascia spazio alla progenie dei topi, i quali fondano la repubblica di Emmenthal. Una ilare contrita predizione futurista senza scampo. Scevra del concetto di utopia.
Alle monodie del recitato, pungente e dolente, si legano, chimiche e magiche, le canzoni di Fabrizio De André. Sottolineano strenue resistenze e cocenti disillusioni.
Musica e musicalità, popolare e sciamanica quanto concettuale e permeante. Con i testi di De André la drammaturgia si compie di senso e significato. Ammorbidisce e aggredisce. Inneggia alla “signorina anarchia” in pieno stile De André. La concretezza poetica del cantautore genovese dona fiato e vitalità allo spirito pulsante di questo spettacolo. Così la Dolcenera (l’acqua) ci ricorda il nostro essere infinitesimali dinnanzi alla potenza della natura. Il blues de Quello che non ho, come un’aria chiusa da melodramma italiano, sviluppa l’argomento dell’indiscriminato e infruttuoso dispendio economico. Ancora la Khorakhanè fa da luttuosa nenia alla condizione del popolo Rom, il Don Raffaé elabora la boria vana e misera della camorra sino a Canzone per l’estate dedicata all’Italia nell’assillante domanda “com’è che non riesci più a volare?”.
L’apporto di Neri Marcoré allo spettacolo è luminoso ed istrionico. L’attore suona la chitarra e canta con una voce che, nella sua timbrica bassa ma carica di fiato, ricorda moltissimo quella del vero De André. Nell’approcciarsi a Smisurata Preghiera, poi, Marcoré si cala in una ritmica d’esecuzione alla Fiorella Mannoia, forgiando in un unico nitido compendio l’esimio cantautore e l’intensa rossa interprete sempre “in direzione ostinata e contraria”.
Neri Marcoré recita, ma il suo monologare non crea distacco con il pubblico. Egli guarda la platea, guarda negli occhi ironico e mai sentenzioso. Delizia e sprona, allo stesso tempo.
Nel suo percorso è mirabilmente sostenuto da tre giovani talentosi musici-attori, coro tragico melodico e satirico, composto da Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. Lo spettacolo si delinea così, trascinante e riflessivo. Lo si apprezza, e lo si applaude con la consapevolezza dell’esigenza, attuale più che mai, di “trasformarsi in una contestazione vivente” come avrebbe voluto Pasolini. Ricercando al contempo, magari in una notte di lucciole, “una goccia di splendore”,De André docet.
Repliche ancora il 14, 15, 16, 17, 18 Marzo 2018 presso il teatro Biondo di Palermo.