Il collettivo “Qui ed Ora”, in corroborante e perfetta sinergia con la coreografa Silvia Gribaudi, ha presentato allo Spazio Franco “My Place”. Studio performativo sul concetto di casa, spazio personale, fisico, sociale e mentale.
My Place ovvero il mio posto. E quale che sia, desidero mi rispecchi, mi faccia sentire felice e a mio agio, agevoli il mio bisogno di espressione. Comunichi chi sono e allo stesso tempo protegga i miei sogni e le mie fragilità preservando, per uno scopo vero e sincero, tutta la mia forza. Il mio posto è la mia casa, il mio cervello, il mio corpo, la mia vita stessa. My Place è dove sono, esisto.
Spiazzante, quanto chiara, l’articolata e cangiante drammaturgia esperenziale, dibattuta sulla spianata aperta e reattiva dello spazio Franco. Una drammaturgia mai sola con se stessa, col peso specifico e debordante del suo stesso logos, ma espansa del carattere coreutico, quanto mai fisico e organico, proprio a Silvia Gribaudi. Invero, un lavoro audace e ambizioso, seppur con qualche macchinosa pecca insita tra alcuni passaggi di tono e dilemma.
Dunque My Place, questo mio piccolo grande posto nel mondo. Così ben presentato, restituito, incarnato dalle 4 performer in scena Francesca Albanese, Laura Valli, Silvia Baldini.
My Place, dunque, come corpo, segno d’una bellezza muliebre non più tonica, giovane e filiforme ma morbida e matura, vivida e sballonzolata. Una forma d’avvenenza fuori canone, trasposta in un’interazione danzata, sbattuta e scomposta, quanto pervasa d’una soave, manifesta, sororità. My Place, ovvero quell’anfratto, recondito ed inespresso del mio organismo. L’infinitesimale, eppur rilevante, che vorrebbe esplodere a dispetto d’una esteriorità ariosa e confortante che lo costringe.
Quella stessa esteriorità, tramutata in silhouette d’ombra, torturata nell’imperante categorico dell’esercizio fisico, affinché rientri nello spazio fisico assegnatoci dalla società. Uno spazio, questo, talvolta angusto e respingente (come un mutuo per l’acquisto di un immobile negato dalla banca ad una ragazza di soli 40 anni). Spazio che necessita d’un volo liberatorio, una flash dance su la song di Aretha Franklin Think.
Quello stesso spazio sociale che, per quanto possa ampliarsi, mai basterebbe a contenere un cuore, il suo peregrinare, la sua voglia di raccontarsi. Neanche fosse quel cuore celebre, cantato da Rita Pavone con il suo basso continuo di palpiti. A tale impossibilità, si predilige lo struggimento d’un abbandono, un leggiadro tonfo, tra le braccia di attoniti astanti.
My Place, come luogo del vivere, dell’esperienza umana, quotidiana, alle volte crudele. Ma anche luogo, rintracciato e ritrovato, d’una creatività pura ed in divenire, pregna e pregiata d’ozio e di piacere, scevra del concetto d’utile. Teatro, dunque, in un leggero, vezzoso, ondulatorio in punta e tacco.
Un posto nel mondo, affrancato, dove è consentito mostrarsi… come in costume da bagno, quando si frequenta una piscina pubblica, ma in totale audace emancipazione. Così le nostre tre donne, come Regine francesi d’ancien régime acconciate con parrucche incipriate, con tanto di diademi. Riprese, in ieratiche pose da statua, dentro grandi fontane asciutte, nei giardini pubblici. Sovrane, finalmente, del proprio io, casa delle case, da custodirsi.