La Medea di Euripide, nella regia del compianto Luca Ronconi, rivive grazie all’attore Franco Branciaroli. Rappresentazioni fino al 4 Marzo presso il teatro Biondo di Palermo.
La Medea di Euripide è da considerarsi un gioiello inestimabile della tragedia classica greca. La storia della principessa della Colchide, traditrice della patria ed esule per amore, moglie tradita ed infine omicida e infanticida per vendetta resta cardine colto e catartico della letteratura teatrale occidentale.
Tra le migliaia di regie e letture che di Medea sono state date quella di Luca Ronconi è da annoverarsi tra le più clamorosamente innovative.
Tutto ruota intorno alla figura di Medea, per Ronconi non un’eroina proto femminista bensì una straniera. Una donna che rappresenta una alterità culturale selvaggia e barbara avvertita come minacciosa e lontana da una difforme società civile. Questo il nodo drammaturgico autentico della regia di Ronconi. Nello sviluppare il personaggio di Medea il grande regista aveva inoltre pensato di riprendere, secondo uno studio filologico dello scritto di Euripide, una forma mentis, un’etica ed un agire eminentemente maschili.
La Medea di Ronconi debuttò al teatro Donizetti di Bergamo nel 1996, oggi rivive nella ripresa registica di Daniele Salvo per vivo interesse dell’attore Franco Branciaroli. In questi giorni è di scena presso il Teatro Biondo di Palermo.
Medea si muove dentro una scenografia postmoderna, cinema domestico di violente pulsioni (s)velate. Ma anche sala d’attesa d’un imbarcadero ove restano inerti le speranze, mentre s’involano recriminazioni e provocazioni. Uno spazio cupo e perimetrale, sul quale troneggia una scalinata di legno torre incendiaria di tumultuosi (e)venti.
Medea vive nell’interpretazione lucida, cinica, disincantata, e avveduta di Franco Branciaroli.
E’ il ritorno del grande attore ad un ruolo a lui caro. E’ l’antica credibilità mascolina di Medea, quella propria alla tradizione teatrale greca che vedeva anche i personaggi femminili essere impersonati da soli attori uomini, tornare forte e risoluta in auge.
La vocalità di Branciarioli profonda, roca, corposa si aggancia ad un recitare ambiguo, demoniaco. Un divenire attoriale mostruoso, nel masticare digerire e rigettare l’ordinaria ributtante dolcezza imposta alla vita femminile, dal matrimonio dalla maternità e dal tradimento.
Medea vigorosamente afferma la sua natura divina, quella di nipote del Dio Sole, dunque un essere superiore rispetto all’umanità mortale e comune. Il trucidare i suoi stessi figli, toglierli al vanto del padre Giasone, diventa un sacrificio atto a sottolineare la volontà impietosa conseguente alla sua lesa divinità. Il maleficio che uccide la principessa Glauce, sua rivale e rimpiazzo di letto, si configura invece quale feroce cruccio femminile. L’unico fugace accenno all’omicida gelosia donnesca, che giostra il castigo terribile alla carnalità ambiziosa di Giasone.
Il coro della tragedia viene riversato per intero su un ensemble di donne dedite alle pulizie. La loro saggezza muliebre, familiare, paziente, popolare, ormonale, solidale si confronta in toni confidenziali, colloquiali, talvolta esortativi con la personalità audace di Medea.
Nel rapporto continuo e tumultuoso tra Medea e il coro si sposta il baricentro dell’intera tragedia. Le donne fanno e disfano, l’uomo (Giasone ma anche il tiranno Creonte) si piega e cade.
Il coro vive del postmodernismo nel quale opera, le donne passano la lucidatrice e una di loro declama la strofa: “O casa mia, patria, che io senza città, non abbia una vita di mezzi priva,triste da passare per lacrimevoli guai” condensandola alla melodia de “Un’avventura” di Lucio Battisti.
Unico alleato di Medea, nonché colui che diverrà suo riconoscente protettore, il vecchio Re Egeo (l’attore Livio Remuzzi). Questi, pallido claudicante sulle zeppe argentate del giudizio e sterile, beneficerà della natura soprannaturale di Medea ritrovandosi, prodigio dell’oltreumano, incinto. Egeo si lascia possedere dalla femminilità-virile di Medea e su questo fenomeno costruisce la sua stirpe reale. La fedele nutrice di Medea (l’attrice Elena Polic Greco) voce lamentosa e mesto pensiero fuori campo, cita nella foggia di abiti e monili la Medea di Pierpaolo Pasolini che fu della Callas.
Il finale brucia a fuoco lento, Medea in abito da sposa levita su una vasca da bagno (posta su un montacarichi) ritorta e ricolma del sangue e dei cadaveri dei suoi figli.
Allo strazio umano di Giasone (un coinvolto Alfonso Veneroso), ella risponde con una maschera di bronzo altera e indisponente. Espressione vitrea d’un attuarsi determinato e scevro di rimorso. Al delirio dell’uomo, Medea risponde spaccando la quarta parete, attraversandola insieme ai corpi martoriati dei figli. Portando la sua imperiosa motivazione tra il pubblico orrore, assolvendosi come una regina, ancora come una Dea.
Medea è in replica ancora il 2, 3 e 4 Marzo presso il Teatro Biondo di Palermo.