Commovente e struggente, la Lucia di Lammermoor di Donizetti incanta il Teatro Massimo di Palermo.
Lucia di Lammermoor è l’Opera più conosciuta e amata del compositore bergamasco Gaetano Donizetti; in essa risiede l’incanto truce di un dramma in musica d’atmosfera gotico romantica. Ispirata al romanzo storico di Walter Scott del 1819 The Bride of Lammermmor, l’Opera fonde il soffuso languore delle melodie del Donizetti con il libretto aulico e al contempo avvincente del poeta napoletano Salvadore Cammarano. Lucia di Lammermoor nacque in soli 37 giorni, tra il maggio e il luglio del 1835 e sin dalla sua prima rappresentazione, nel settembre di quello stesso anno, riscosse un enorme successo.
Dramma tragico in due atti, ricco di pathos e di tetre emozioni, Lucia di Lammermoor è il vanto italiano, imbattuto su scala mondiale, del belcanto; a lei il Teatro Massimo di Palermo dedica un partecipato e trionfante ritorno sulla scena cittadina nella regia, perfetta e già collaudata, del fiammingo Gilbert Deflo (lo spettacolo ha avuto vita la prima volta nel 2003 con Mariella Devia, la seconda volta nel 2011 con Desirée Rancatore ndr). E’ una ripresa, sì… ma in grande stile!
La regia di Deflo è composta e ieratica, soprattutto per quel che riguarda il portamento del valentissimo coro del Teatro Massimo, ma è pur intensa e meticolosa in ciò che tange la mimica atta a narrare l’avvicendarsi caotico e sublime del vissuto e delle sensazioni dei protagonisti. Unica, minima, concessione alle granitiche forme del quadro scenico una parentesi di danza (ad inizio secondo atto) con quattro coppie di ballerini dell’ottimo corpo di ballo del Massimo, impegnate in una giocosa e galante gavote per le coreografie di Giuseppe Bonanno.
Il dramma è ambientato tra i pallori e le esibite fragilità del 1800, in pieno Romanticismo. Lucia di Lammermoor, dunque, vive proprio nell’epoca ove Donizetti e Cammarano operano e, abbandonati i polverosi orgogli della tradizione cinquecentesca, trova nella morsa del fallocentrismo borghese imperante una nuova terribile fonte di dolore e prevaricazione; in tal modo, la funzione illusoria della pazzia sperimenta una nuova ragion d’essere divenendo, per il regista, un evento reale. L’allestimento della scena, a cura di William Orlandi, si compone di un architettura simil romanica, cupa e altera; un drammatico minimalismo materico, par soffocare ogni cosa e riduce allo stremo delle forze qualsivoglia slancio affettivo. I costumi dalle fogge ampie e rigorose, tipiche della moda romantica di metà ottocento -sempre dell’Orlandi- combinano in strabilianti giochi d’antitesi il plumbeo e lo splendore. (La cabaletta di Lucia “Quando rapito in estasi…”)
In questa atmosfera di dolente ininterrotta sopraffazione Lucia vaga, sin dal primo atto, come un’ anima in pena; la fanciulla è un’ innocente psicolabile, devota ai segreti d’amore ed incline alle visioni e alla ricettività ultra sensoriale. Lucia è un personaggio bellissimo e dalle molte sfumature, sulle quali cantanti e registi possono lavorare con risultati di volta in volta sorprendenti. Alla soprano rumena Elena Mosuc, tocca la Prima palermitana del 30 Marzo. L’artista porta avanti un’interpretazione vocale di spinta, subito dal primo atto, sovrapponendole, però, studiate leggerezze e vezzosità vocali di gran pregio (nell’atroce Scena della Pazzia). E’ questo l’abituale modus operandi della Mosuc, fortemente caratterizzato da veementi intenzionalità drammatiche e lunghi gorgheggi stretti, ad apice di fiato, da appuntiti acuti. Spiccano, inoltre, durante l’intera rappresentazione sovracuti, quasi tendenti all’urlo, in grado di disegnare il cagionevole stato psichico di Lucia. L’esecuzione convince, si lascia applaudire e si colloca tra quelle magistrali o accademiche. Nel secondo cast il ruolo di Lucia di Lammermoor andrà alla giovane promessa della lirica venuta d’oltreoceano e già soprannominata l’usignolo americano, Nadine Sierra (ci riserviamo di inserire la nostre note critiche dopo lo spettacolo di sabato 2 Aprile 2016 ndr).
Agli uomini dell’Opera va un applauso particolare: di fine indole romantica, nella resa vocale molto vicino all’essere tenero e toccante, è l’innamorato Edgardo impersonato dal tenore Giorgio Berrugi; portento di note gravi e d’atteggiamento egoistico e dittatoriale l’Enrico, fratello di Lucia, del baritono Marco Caria; colpevole, nella sua voce chiara e autoritaria e subdolo, nel fare e disfare di molte trame, è Raimondo il confessore e confidente di Lucia, nell’ottima prova del basso Luca Trittoto; un impetuoso contegno si ravvisa nell’Arturo del tenore Emanuele D’Aguano. Grande emozione sul podio d’orchestra c’è stata per il direttore Riccardo Frizza alla sua prima Lucia di Lammermoor. (il duetto degli innamorati “Verranno a te sull’Aure”)
Sono moltissime le arie, i duetti e le cabalette, disseminati per l’intera Opera, ad aver raggiunto la popolarità e che enorme aspettativa e coinvolgimento suscitano nello spettatore. Si è alzato anche tra il pubblico della Prima palermitana un vero e proprio clamore per le ottime esecuzioni della cabaletta di Lucia “Quando rapito in estasi”, seguita dallo struggente duetto d’amore tra Lucia ed Edgardo “Verranno a te sull’aure, i miei sospiri ardenti”, entrambi dal primo atto; ed anche con l’accorata cabaletta di Edgardo, nota come “Oh bell’alma innamorata”, eseguita alla fine del secondo atto, dopo il misero decesso dell’amata. Ma è sicuramente la scena della Pazzia di Lucia, “ardon gli incensi…”, il momento più atteso e osanato -e alle volte bruscamente criticato dagli intenditori- della rappresentazione. Nella recita in questione regna un impatto sonoro al medesimo tempo vaporoso, nelle fioriture vocali di Lucia, ed etereo, negli effetti concentrici e lievi prodotti dalla musica della GlassHarmonika (strumento ricercato, formato da bicchieri riempiti d’acqua a livelli diversi in modo da produrre suoni diversi, e da suonarsi con i polpastrelli delle dita; per l’orchestra del teatro Massimo è stato suonato da Sascha Reckert ndr). In termini poetici alla Lucia fisica, con il candido abito da sposa lordo del sangue del neo-marito Arturo, del quale ha appena fatto mattanza ed i capelli scarmigliati, si accosta la fantasticheria visiva del suo senno compromesso che come inglobato in vitree bolle di sapone lascia la sua testa e si invola, scevro da condizionamenti, verso il cielo ardendo, poi, al calore delle fiammelle sulle candele del grande lampadario e rovinando nuovamente nella di lei mente sotto forma di esaltante furia, isterico delirante prospiciente alla morte. Un’Opera unica e meravigliosa, assolutamente da non perdere. (Note storiche sull’armonica a bicchieri)
Repliche ancora l’1,2,3 e 5 di Aprile 2016.
Lucia di Lammermoor è una produzione del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro delle Muse di Ancona.
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