Torna sulla scena del teatro Massimo di Palermo, nei giorni antecedenti il Natale del 2022, l’iconico balletto Lo Schiaccianoci. Il classicissimo titolo di repertorio viene rivisitato nella sua essenza coreo-drammaturgica dal nuovo direttore del corpo di ballo massimino il francese Jean-Sébastien Colau in collaborazione con il napoletano, astro nascente della coreografia e della danza europea, Vincenzo Veneruso.
Un classico aulico e senza tempo nonché, per preciso riferimento della trama, garanzia d’atmosfera Natalizia. È Lo Schiaccianoci, iconico balletto imperiale russo sulle celeberrime musiche del compositore Pëtr Il’ič Čajkovskij. La sua prima rappresentazione ebbe luogo nella sera del 18 dicembre 1892 presso il teatro Marijnskij di San Pietroburgo; 1222 anni raggiunti nella serata del 18 dicembre del 2022. Un encomiabile compleanno artistico che il fiabesco balletto festeggia sul palcoscenico del teatro Massimo di Palermo.
È però uno Schiaccianoci diverso, questo massimino odierno. Uno spettacolo integralmente attraversato dall’originalità e l’inventiva di Jean-Sébastien Colau e Vincenzo Veneruso nuovi creativi in forza al comparto coreutico del teatro.
Il duo congegna uno spettacolo identitario ponendo mano al libretto originale e cambiandone radicalmente connotati ed aspetti drammaturgici.
Clara diviene così Marie Hoffmann sul libretto di sala. Non si eccepisce l’omaggio alla Marie protagonista del racconto omonimo e ad E.T.A Hoffmann suo autore. Ma nell’economia della danza, tutto ciò ha poco risalto. A lei si affiancano due nuovi personaggi: Dario e suo fratello Pietro, poveri venditori ambulanti di caldarroste e frutta secca nella strada, ricoperta di neve, dinnanzi il portone della casa patrizia della famiglia Hoffmann. Dall’incontro tra Dario e Marie, così distanti per ceto ed esperienze di vita, sboccerà un idillio sentimentale.
Ad animarsi è dunque una inedita storia d’amore, ben congegnata, centrale ma che purtroppo tende a marginalizzare il personaggio protagonista del balletto: lo stesso Schiaccianoci.
Questi seguirà una storia accessoria quella di Pietro, vittima (nelle sembianze, appunto, di uno schiaccianoci di legno, nel I atto) e ostaggio (una volta riacquisita la sembianze umane, nel II atto), del Re dei Topi. Quest’ultimo più che Rex mago del regno dei roditori, è rivisitato nelle sembianze antropomorfe d’un dispotico e capriccioso maestro di danza, Jean-Georges (anche qui gentile l’omaggio al coreografo francese di metà 700 Noverre ma poco funzionale, pur nella caratterizzazione accentuata, al balletto).
Decaduto il personaggio magico dello zio Drosselmeyer. Sarà semplicemente l’amore per Dario – e le sue tribolazioni al seguito del fratello Pietro- ad aprire a Marie le porte del regno delle leccornie; in questa occasione una Palermo caraibica e barocca. Ancora un omaggio, forse il più fragrante e gustoso tra tutti quelli pensati.
È quando la narrazione del I atto si ricollega alla pura danza del II che il pastrocchio viene alla luce. L’inventiva è lodevole, sempre bene accetta, indispensabile. Ma l’argomento per quanto espanso e favolistico può rivelare le sue insidie.
Le insidie si nascondono tra le pieghe stesse della celebre suite al II atto. Li dove la fata Confetto regna, ma qui è svanita. Al suo posto resta Marie, che però, a onor del vero segue una sua evoluzione: da fanciulla diviene una donna.
Abbandona l’abito rosa leggiadro e infantile per indossare un tutù inamidato bianco e oro, regalatole durante la festa di Natale, ma che le conferisce un aspetto maturo, altero. E nella scena diviene protagonista perfetta e regale, nella celebre tintillante variazione dalle note alla celesta. Ma è l’unica!
Dario non è risolutivo alla liberazione del fratello dalle grinfie del maestro topo, ma solo un buon accompagnatore di Marie e della governante di casa Hoffmann. Quest’ultima, membro adulto coniato ad hoc, cupido e culinario deus ex machina, si inserisce nell’intercapedine d’aiuto ibrido, magico e concreto.
Pietro stesso, ovvero il ragazzo tramutato in Schiaccianoci, riacquistate le sembianze umane viene “relegato” all’exploit in assolo della danza Russa, ma resta accessorio agli eventi. Il maestro Topo non è sconfitto, ma solo reso satollo e soddisfatto dalle bontà della cucina sicula.
Magagne sottostanti ai pur esimi ed edificanti intenti e messaggi, esperiti a parole nei pezzi blasonati del giornalismo e nelle pagine del programma di sala. Ma ai quali l’evocativo didascalico, pur ampiamente rimaneggiato, di questo balletto non riesce a dar compiutezza.
Intuizioni brillanti ma aleatorie, irrisolte. Di questo Schiaccianoci resta tuttavia, dell’inventiva suddetta, un acceso divertimento, il piacere della danza e della bellezza che essa sempre emana.
Piacere irrorato a pieni battiti dal corpo di ballo del teatro Massimo, cuore pulsante di una coreografia multiforme (per motilità e forme) ed impegnato senza riserve su ogni fronte della messa in scena. Senza l’intervento di alcuna Star della grande danza europea o americana. Per citare lo stesso Jean-Sébastien Colau “il ballo balla”.
Tra i cast vari di questo Lo Schiaccianoci, in rapido susseguirsi, replica dopo replica, (nella serata del 18 dicembre) rifulge impeccabile Giovanni Traetto (Pietro, non più Schiaccianoci, nella succitata variazione costruita sulla danza russa). Regala un’esibizione ritmica, di grandissimo delineato e perfetto virtuosismo en sauté.
Meno convincente di lui, Diego Mulone, nel ruolo ben più presente e denso di aspettative di Dario. Purtroppo la sua variazione principesca, centrale al pas de deux del II atto, sfugge, scivola, non convince. A Mulone si riconosce, tuttavia, un’ottima e salda tecnica da porteur.
Encomiabile invece la prova di Martina Pasinotti come Marie, nel passaggio dalla leggiadria candida ma non leziosa tipica di una ragazzina del I atto, all’impostazione sublime, e anche alquanto maliarda, da grande étoile assunta nella suite del II atto.
Straordinaria Lucia Ermetto, al primo atto nel ruolo divertente e divertito della cameriera della famiglia Hoffmann: ubriaca, di nascosto dai padroni, e per questo dondolante sulle punte, in lungo e in largo per tutto il salone delle feste. Sempre nel primo atto, spiccano inoltre la bellezza bruna e l’allure da grand danseur di Riccardo Riccio, padre di Marie, e l’energia esplosiva di Emilio Barone miratamente incanalata nell’interpretazione del piccolo e monello Fritz, fratello di Marie. Si fa largo sulla scena anche l’ellittica eloquenza gestuale di Simona Filippone, nella parte della governante di casa Hoffmann.
Al secondo atto, nella Palermo dei dolci golosi ed irrinunciabili: danza cortese e manierata la cassata classica, ancora la Ermetto (con un tutù che ne riproduce l’aspetto principesco nel verde e bianco della pasta reale e sul corpetto nell’arancio dello zuccotto e nel rosso opaco della ciliegia glassata). Si esibisce lieve, poi, il cannolo (nell’ottimo leggiadro sincrono in pas de bourrée e petit batterie di Sofia Masi e Valentina Chiulli). Mentre la danza araba, con Annalisa Bardo al centro di un vistoso carillon di arabesque, danzatori porteur e drappi dorati, diviene la chiave di volta per introdurre sul palco una libidinosa 7 veli al cioccolato.
Il valzer dei fiori è un divertissement di immagini desunte da un bel giardino curato da lievi suorine. Con l’ape panciuta (una sfarfallante e ilare Michela Mozzoni) che vola tra danzatrici dagli ampi tutù a corolla di fiore rovesciato.
Al di là d’ogni critica, di ogni quanto più seria o faceta considerazione, questo spettacolo resta comunque un godibilissimo momento di grande balletto. La possibilità d’un sogno danzato ad occhi aperti, che il teatro Massimo con un notevole sforzo produttivo ci regala.
Il balletto che, addirittura, abbandona la sua ieraticità di scena e scende in platea, rompendo la quarta parete. Ancora un omaggio, tridimensionale e colmo di meraviglia, di Colau e Veneruso al teatro Massimo che li ha grandiosamente accolti.
È l’eccelso immaginifico per i più piccoli, nelle scene amene con le danzatrici in tutù bianco e argento, sotto una fitta nevicata. E la mai paga speranza d’armonia dei più grandi, riflessa nella scena della festa di Natale, tra doni, brindisi, danze d’insieme ed un albero magnificamente addobbato.
Di questa versione è anche il diletto dei ballettomani, con le citazioni colte; una tra tutti quella che vede topi e topoline danzatori e danzatrici del maestro topo (uno straordinario e sapientemente caratterizzato Vincenzo Carpino) impegnati/e nella discesa in arabesque, tendu, cambrè en arrière delle ombre fanciulle de la Bayadere.
Danno Lo Schiaccianoci in città! Basta il titolo è la magia si ripete, allietando le feste Natalizie. Surclassando qualsivoglia tipo di inventiva, giustificando ogni applauso, ogni sospiro. Spandendo diletto! Cosa desiderare di più?