L’Italiana in Algeri, dramma giocoso su musiche di Gioacchino Rossini, torna al Teatro Massimo di Palermo dopo un’assenza di ben 17 anni. L’Opera è di per sè esuberante e arguta, e non si può non apprezzarla e goderne. L’allestimento, ripresa proprio di quell’ultima mise-en-scène del 2000, è innegabilmente molto tradizionale seppur pervaso dal recitar cantando frizzante dei suoi protagonisti.
Divertimento, allo stato puro, il tuo nome è L’Italiana in Algeri, gioiello raffinatissimo di lirica rossiniana su libretto di Angelo Anelli. L’Opera, rappresentata per la prima volta nel 1813 a Venezia, conobbe da subito il favore entusiasta del pubblico; e pensare che venne musicata da Rossini in soli 27 giorni. Quando si parla di genio!
Protagonista dell’Opera, l’avvenente Isabella. Un’Italiana, una donna che viaggia per il mare alla ricerca del fidanzato Lindoro, sperdutosi in terra straniera dopo un naufragio. L’italiana indomita e avventuriera, una proto femminista. Intelligente, scaltra, maliarda, mai svenevole se non per dissimulare. Un personaggio irrimediabilmente simpatico. Una donna forte che affronta il Bey d’Algeria, lo seduce, lo raggira e vincendolo veicola il suo stesso lieto fine. Un’eroina positiva e volitiva, fondamentalmente indipendente da qual si voglia convenzione sociale. Nel teatro del 800, sono certo, il personaggio di Isabella avrà acceso non poco l’invidia e l’ammirazione delle gentildonne coeve.
Chi non vorrebbe cantare il ruolo brillante di Isabella? Ma ci vuole la verve giusta, oltre che una bella voce da contralto. C’è una cantante, una donna spumeggiante, che questo ruolo lo maneggia con estrema maestria. Non per nulla è considerato il suo cavallo di battaglia. Lei è Marianna Pizzolato.
Palermitana, la Pizzolato ha portato Isabella ovunque nel mondo. Ha trionfato finanche al Metropolitan Opera House di New York. E finalmente lo presenta anche nel teatro della sua città.
Marianna Pizzolato è una donna simpatica e gradevole, nell’impersonare Isabella a queste naturali doti aggiunge un irresistibile brio. La recitazione brillante dell’artista si calibra bene al dispiegarsi mutevole degli eventi. Davvero in questo modo, Isabella vive in scena nel suo continuo sfavillio di perspicacia. Contralto di velluto, la Pizzolato segue un onesto registro rossiniano, tra il colorito e l’esuberante. Talvolta, aggiunge una qualche infiorettatura vagamente donizettiana, ma resta deliziosa. Sa far librare l’animo dell’ascoltatore, allorquando si fa languida, adolescenziale, leggiadra come Claudia Mori, nella nota aria “Per Lui che adoro” nel secondo atto.
Al fianco di Isabella troviamo poi dei personaggi maschili unici nel loro genere. Primo tra tutti Mustafà, il Bey d’Algeria, il classico potente vittima della ben più prestante autorevolezza muliebre. Il sultano che andò per conquistare e fu gabbato, è davvero un caratterista di prim’ordine ben incarnato da un travolgente Simone Alaimo. Figura imponente ma assai armonica, Alaimo ha accentato i recitativi del suo bel timbro baritonale permeando, tuttavia, gli spazi della musica del basso denso proprio alle sue corde vocali.
Segue, l’amabile Taddeo. Il cicisbeo, spasimante di Isabella. Accompagnatore devoto, e zio della ragazza per necessità (il buon Taddeo scongiura d’esser evirato o peggio impalato). A dargli voce e piglio il favoloso baritono Vincenzo Taormina.
Altissimo e con un viso iper-espressivo che già da solo ispira simpatia, Taormina rispetta di Taddeo la connotazione letteraria di babbeo amabile, ma vi ricalca al contempo una caratterizzazione da cartoon, nello stile buffo di Pippo. Nel corposo timbro baritonale di Taormina si ravvisano sfumature di tonalità differenti, sapientemente usate per sottolineare parole chiave del libretto, battute e affermazioni farsesche. Taormina coinvolge il pubblico, tra risa e un gran bel sentire.
Infine, troviamo Lindoro, l’innamorato di Isabella. Naufragato sulle coste d’Algeria e reso schiavo, è lui adesso il Bello da salvare. A interpretare il ragazzo, il tenore catanese Pietro Adaini. Voce aperta e agile, fraseggio nitido. Nel I atto Adaini sembra perdere fiato nel raggiungere gli acuti, sebbene si palesi una cosciente concentrazione d’esecuzione. L’emozione, l’impatto con il pubblico di una Prima, possono giocare brutti scherzi. Nel II atto tuttavia, Adaini si scioglie. Recita compiutamente, dimenticando possibili puntigli tecnici. Danza, nel terzetto del Pappataci con Alaimo e Taormina. In questa raggiunta naturalità sfodera il meglio del suo bel carattere vocale. Convince appieno. Per lui non mancano i “Bravo”.
L’allestimento, come detto in apertura, è la ripresa di una produzione Massimiana del 2000. La regia del maestro Scaparro mantiene vividi i toni del divertimento, ma risulta un po’ frenata. Forse, a causa dell’ufficialità, talvolta soffocante, della Prima.
La scenografia, opera del beneamato Emanuele Luzzati, tuffa il mondo arabeggiante (con i separé traforati che sembrano usciti dal palazzo della Zisa) nel ceruleo del mare mediterraneo. Il nostro mare, da sempre, luogo di incontro e scontro tra l’Italia, l’Europa tutta e il Nord Africa. I costumi di Santuzza Calì parlano di un Algeri fiabesca, lussureggiante di colori.
L’ultima nota critica la si destini al concertato che chiude il I atto. Un momento de L’Italiana in Algeri di grande teatro e musica esemplare. Tra l’altro, il pezzo della composizione prediletto da Rossini. “Va sossopra il mio cervello. Sbalordito in tanti imbrogli” cantano protagonisti e coprotagonisti in un perfetto unisono. Sincronia ineccepibile di voci, ognuna nel suo registro. Le voci basse sostenute dalla vocalità acuta e cristallina della soprano Mara Francesca Mazzara nel ruolo di Elvira, la moglie del sultano.
Suoni onomatopeici che si incastrano sul cantato, creando catene ancor più dinamiche di vibrazione sonora.
Nella testa ho un campanello, Che suonando fa din din.
Nella testa ho un gran martello, Mi percuote e fa tac tà.
Sono come una cornacchia, Che spennata fa crà crà.
Come scoppio di cannone, La mia testa fa bum bum.
Tutto legato ad un canto a precipizio, su un tempo incalzante, in divenire costante. Prodigio di fiati, lunghi, quasi da apnea. Creazione del magma sonoro rossiniano, il big bang da cui tutta la musica modernamente conosciuta ha preso vita. Applausi, fragorosi, inevitabili, meritati. Spettacolo dalla bellezza immediata, Opera dall’allegria contagiosa; consigliato a tutti.
Repliche presso il TEATRO MASSIMO DI PALERMO ancora il 24,26, 28,29, 30 Novembre.