Sulla scena del teatro Biondo, debutta e trionfa, Sorelle Materassi, il romanzo di Aldo Palazzeschi si fa perfetto teatro nella riduzione di Ugo Chiti e per la regia di Geppy Gleijeses. La pièce, poi, si lascia interpretare, o meglio vivificare, da tre immense attrici: Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati.
Una serata di Teatro, con la T maiuscola, per queste Sorelle Materassi al teatro Biondo di Palermo. D’altronde, è questa la degna accoglienza da riservarsi a personaggi tanto familiari quanto iconici della nostra italica letteratura. Ed è entusiasmante osservare come la prosa del Palazzeschi, sollevata con leggiadria di tulle dalla pagina romanzata, possa farsi foggia compiuta e pervasiva del drammaturgo Ugo Chiti. Salvo poi vivificarsi, con maestra sensibilità e risoluta immedesimazione nelle carni d’immense attrici d’esperienza, Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati.
Dal teatro che fluttua nell’onirico, dimensione distorta d’ombre cinesi che si allungano, rimpiccioliscono, appiattiscono e dilatano, si entra a gamba tesa nel vivo dei giorni delle tre sorelle Materassi. Accade che la dimensione della rappresentazione sfumi e quel piccolo femmineo mondo divenga visceralmente realistico, con il pubblico a farsi parte del tutto. E le Materassi appaiono in scena, carne, ossa e psicologia.
In zia Teresa e zia Carolina, le più anziane, si ravvisa un perfetto mix di domestico nichilismo passivo e fiabesca retorica popolare. Sono signorine dabbene, ingenue e mal rassegnate. In Giselda, la più giovane delle sorelle, la nota dissonante di colei che ha conosciuto davvero la vita e ne sa riconoscere complessità ed inganni. La dura verità, inascoltata.
E la verità è in definitiva il filo conduttore dell’intera esistenza delle sorelle. Una verità inesorabile che ferisce, rende inevitabilmente fragili e a volte dementi. La verità che vorrebbe gridare alle coscienze, ma resta inascoltata.
Verità che poi è lì, sbattuta in faccia senza ritegno. La verità di Remo, il figlio della quarta sorella, la deceduta Agostina. Accolto in casa delle zie signorine da ragazzino, e subito divenuto l’idolo incontrastato dei loro cuori. Cuori aperti, fino a scoppiare, all’ebbrezza capricciosa d’un figlio mai avuto. Cuori illanguiditi dal suo crescere in bellezza e virilità. Cuori inermi che si lasciano sopraffare dalla sua prepotenza, talvolta insopportabilmente brutale. Cuori spersi nella vaghezza d’un amore, concretamente irrealizzabile.
Perché dopotutto “Alla bellezza si perdona ogni cosa”. E sembra di vederle ai giorni d’oggi, zia Teresa e zia Carolina, arrabbiarsi e sospirare dinnanzi alla tv, spettatrici televisive del noto dating show Uomini e Donne. Se non fosse che, no! Remo in quel contenitore non dovrebbe mai andarci, neanche sul trono, lui è speciale e le corteggiatrici non sarebbero mai alla sua altezza.
Remo è il loro uomo. Il corpo proporzionato, slanciato e sportivo mai stretto tra le braccia in gioventù. Il sorriso sbruffone e divertente della casa. La bocca più importante da sfamare. Colui che è necessario supportare.
E per lui, zia Teresa e zia Carolina, sono pronte a tutto! Anche a disfarsi della sorella Giselda. Rea di nozze, esperienze e carnalità, dunque invisa all’ambientino greve dell’arcolaio rischiarato da surreali albe di gloria. Giselda è la schiettezza vedente, quindi senza filtri, cinica e disincantata, e per questa ragione centrata. E nonostante ciò viene zittita, allontanata malamente.
“Cosa vi resta, dunque, pregiate signorine?” I debiti, le cambiali, un bambino concepito con la figlia dell’ortolano (assolutamente immeritevole di Remo). E quando finalmente Remo sposa Peggy (Roberta Luca) una ricca ereditiera americana, spilungona sorridente e un po’ giuliva, dette nozze divengono l’equivalente di un funerale. E quel giorno, con passo corto e posa da salma, le signorine vestono l’abito candido riccamente ornato d’una virginea dipartita.
Teatro narrativo delle piccole grandi questioni dell’animo umano. Una tragicommedia, nella forma risolutamente tradizionale, nel risultato deliziosamente immersiva, significativa e rivelatrice. Veicolante, pungente ed incisiva, la regia, firmata da Geppy Gleijeses.
Il cast di Sorelle Materassi è a dir poco stellare.
L’impeccabile Lucia Poli è zia Teresa, dalla rude spontaneità fiorentina camuffata in un’aristocratica solennità legnosa. Costei è Mater Familia per vocazione, ma senza autentica autorità. Milena Vukotic è la trepida, leggiadra e smisuratamente affettuosa zia Carolina. Sguardo trasognato e svanito, ella ricorda fata Fauna, di verde vestita, ne la Bella Addormentata nel bosco di Walt Disney. Marilù Prati è Giselda, la zia che al nipote si pone da pari, voce fuori campo del discernimento, canzonatoria perché temeraria, temeraria perché pragmatica. Una voce ribelle, ma vinta.
Come Remo, un emulo Gabriela Anagni, in grado di farsi ad ogni scena tanto più bello, elegante e spavaldo quanto più insopportabilmente meschino. Infine la Niobe, procace domestica di casa Materassi, nell’espressiva e dinamica performance di Sandra Garuglieri. Anche ella vittima del fascino di Remo.