Le Nozze di Figaro, tra il genio musicale di W. Amadeus Mozart e l’aggraziata filologia settecentesca di Chiara Muti. Al teatro Massimo uno spettacolo brioso e palpitante, che rapisce.
“Le Nozze di Figaro, divertentissima… i servi che diventano padroni, è strepitosa!” – così esclama, ilare e canzonatoria, la duchessa Yolande De Polignac. Sgranando gli occhi e ridendo sonoramente, la diletta amica e protetta della regina Maria Antonietta, consorte di Re Luigi XVI, narra ai nobili amici della commedia La Folle Journée ou le Mariage de Figaro del francese Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Siamo in una scena del film Marie Antoniette della regista Sofia Coppola e il racconto che la nota duchessa fa della pièce è storicamente credibile e contestualizzato. Madame de Polignac, dopotutto, è l’esemplare umano della gerarchizzata aristocrazia francese nonché ingranaggio della monarchia assoluta. La commedia in questione narra, invece, del servo Figaro che, scopertosi figlio di nobili, ne acquisisce diritti, titoli, ricchezze e privilegi.
Per la cronaca: La Folle Journée ou le Mariage de Figaro del de Beaumarchais arrivò sui palcoscenici francesi solo nel 1784 (benché scritta nel 1777). Fu un trionfo tra le polemiche, seguito a parecchi anni di censura. Negli intenti del Beaumarchais si ravvisava la satira della politica e della società inegualitaria e venale dell’ancien regime. Re Luigi XVI la descrisse come “esecrabile, che gioca con tutto ciò che è rispettabile”.
La Folle Journée ou le Mariage de Figaro? Uno scandalo, seppur divertente!
Nella versione operistica di Mozart, su versi di Lorenzo Da Ponte, Le Nozze di Figaro si fa tuttavia edulcorato, giocoso, lieve. Mozart, dopotutto, è un ragazzino ambiguo con la testa persa tra le nuvole rosa del suo estro musicale. Il ruggito rivoluzionario e sovvertitore del Beaumarchais è lasciato da parte in favore del grazioso, burlesco, malizioso e galante. E’ il 1787, e l’Opera Le Nozze di Figaro debutta con grande fortuna a Praga.
Le Nozze di Figaro nella regia di Chiara Muti riscopre il gusto ameno del puro teatro settecentesco. Se ne può cogliere l’essenza beata, colorita e beota nella recitazione espressiva, marionettistica e brillante, nei giochi di luce su un cielo bigio che dipingono le ore del dì e nella voluttà gentile, maliarda e misteriosa di gonne, corsetti, mantelli, cappelli, parrucche, cipria e culotte. La Muti inserisce i personaggi all’interno di un castello shabby-chic, dedalo di balconi, boudoir, terrazze, giardini coperti, verande e scalinate. Nella filosofia dello scalone principale, l’ascesa progressiva all’empireo dei nuovi nobili di Figaro e l’amata Susanna nel bel mezzo delle loro nozze al III atto.
La musica bella e trascinante del genietto salisburghese, guizza tra lazzi e facezie, si ammorbidisce in dolcezze lunari e confidenziali, vortica e prende il volo in svariati duetti, terzetti, sestetti, settimini. Il maestro Gabriele Ferro, dirige l’orchestra del teatro Massimo sfiorando le note mozartiane, dondolandole, punzecchiandole, aprendo tra loro varchi d’ampio respiro.
Sulla scena una magnifica Maria Mudryak, assoluto vanto dell’intera produzione, nel ruolo sublime della servetta Susanna. Dinnanzi al perlaceo fulgore della giovane soprano kazaka, il resto del cast impallidisce e quasi scompare.
Un viso candido, incorniciato da capelli eburnei. Labbra rosate ed un fisico esile, perfettamente a suo agio in corsetto e crinolina. Maria Mudryak, incanta il pubblico palermitano con la sua vezzosa e angelica interpretazione di Susanna, l’innamorata di Figaro. Vocalità leggiadra, cristallina e sospirosa, ammantata di flautati gorgheggi cangianti tra toni gravi e acuti. La Mudryak è una Susanna deliziosa ed eterea che si lascia ammirare mentre, illuminata di luce propria nella notte oscura, ondeggia su un’altalena cantando evanescente l’arietta “Deh, vieni, non tardar, oh gioia bella”.
Figaro, l’avvenente baritono Alessandro Luongo, non riesce a coniugare alla spiccata ed effervescente mimica profusa una vocalità che abbia pari personalità ed espressività. Nessun accenno di gusto o orpello sulle parole, arcinote e significative, della aria “Non più andrai farfallone amoroso”. Il suo canto resta piatto e da studio, nonostante l’ottimo fraseggio. Recupera in seno al IV ed ultimo atto quando si fa impetuoso, finalmente comunicativo e coinvolgente, nell’aria “Aprite un pò quegli occhi, Uomini incauti e sciocchi, Guardate queste femmine,Guardate cosa son!”.
Comprimari e personaggi di contorno, grandi e piccoli, estrosi, buffi, solenni e caricaturali arricchiscono il tableau vivant dell’azione scenica.
Il baritono bolognese Simone Alberghini, nelle vesti del Conte di Almaviva, sfoggia una vocalità calda e corposa congiunta ad un efficace mélange recitativo in perfetto equilibrio tra il grottesco e l’altero.
La soprano Mariangela Sicilia, trova nel ruolo della contessa di Almaviva la perfetta coloratura lirica, nella linea lunga di fiati singhiozzanti e melanconici corrispondenti alla sua vocalità.
Nel ruolo della nobile Marcellina, innamorata respinta di Figaro poi scopertasi sua madre, la vivacissima e spassosa Laura Cherici. Mirabolanti e buffi i litigarelli in duetto con Susanna. La voce tenera e squillante della Cherici danza al IV atto sull’aria “il capro e la capretta, son sempre in amistà”.
Ottimo caratterista, il tenore Bruno Lazzaretti nel ruolo di Don Basilio prelato timoroso e sudatticcio. Lazzaretti è dotato di una voce piena e accesa, benché costipata in un nervoso e martirizzante registro medio basso.
Il delizioso ruolo del paggetto Cherubino, il narcisetto adoncino d’amor, è stato impersonato dalla giovane mezzosoprano Paola Gardina. Insieme a Susanna, il ruolo più riuscito. Sguardo spaurito e curioso, atteggiamento irriverente, iperdinamico e monello; la Gardina canta cullandosi sulle note l’aria del I atto “Sento un affetto Pien di desir”. Il suo è un Cherubino, dalla vocalità tersa e acuta di bimbo, privo di patetismi ma sempre frizzante e spiritoso.
Una nota di merito è più che giusto rivolgerla al coro del teatro Massimo. Armonia, vivida e gioiosa, di bucolici e fastosi ensemble vocali. E nella Mise-en-scène del popolo, dei servi e dei contadini, si mette in luce la cara devozione quanto l’aspra critica nei confronti dei signori.
Lo spettacolo è godibile e dilettevole. Sul celeberrimo duettino “canzonetta sull’aria” (che vede la Contessa dettare a Susanna una missiva d’amore da recapitare al marito) tra il celestiale riflettersi e ricamare delle due aggraziate voci femminili par di rivivere gli spettacoli musicali di corte nell’elegiaco teatrino della regina Maria Antonietta presso le Petit Trianon. Si fugge dal nostro tempo e nelle orecchie resta, idilliaco “Che soave zeffiretto, questa sera spirerà” negli occhi un magico ‘700 denso d’intrighi, contese d’onore e delicatezze d’amore. Applausi lunghi e sonori, e grandi ovazioni per Maria Mudryak.
Le Nozze di Figaro replica ancora martedì 22 e giovedì 24 alle ore 18.30 e sabato 26 alle ore 20.30 presso il teatro Massimo di Palermo.
Fotografie di Rosellina Garbo.