Ha debuttato il 29 giugno L’almanacco Siciliano di Vincenzo Pirrotta: le vittime di mafia protagoniste di una coinvolgente pièce teatrale
L’Almanacco Siciliano nella regia di Vincenzo Pirrotta, che ha debuttato nella serata del 29 giugno nel suggestivo Piazzale Abatelli di Palazzo Steri, ha preso vita e forma scenica a partire dall’Almanacco siciliano delle morti presunte coinvolgente narrazione in soggettiva, composta da Roberto Alajmo (edizioni Palindromo ndr), dei tanti uomini, donne e bambini che hanno perso la vita durante il delirante dominio di Cosa Nostra sulla Sicilia, per più di cinquant’anni.
E’ un trascinarsi doloroso di date ed eventi infausti questo Almanacco della Sicilia bella; è il percorso lento di un Logos appositamente dissestato su di un palcoscenico dal candido e ieratico aspetto sacrale -un tempio ellenico monco, una piramide a gradoni Maya- ma anche simile ad un familiare luogo dell’anima -come il cortile interno di una umile casa, adorno di funi per stendere i panni e vecchie seggiole- pulsante di rossi cuori, gonfi di speranza nel futuro. Ed è là, tra queste rovine e delizie, che la speranza sguscia via come una serpe innervosita, s’invola come una colomba spaventata, si rintana come un topolino di campagna al sorgere del sole. Così, nell’esplodere e rimbalzare della perfidia umana, si cancellano i nomi dei malfattori e resta l’atterrito Perché? delle vittime (molto probabilmente quello giornalistico ed esterrefatto di Mauro De Mauro), dei giusti, degli innocenti, dei vinti che poi, in realtà, vinti non sono.
L’ Almanacco Siciliano con la sua narrazione orale medievaleggiante, accompagnato dagli antichi canti all’unisono ipnotici e quasi gregoriani dei Fratelli Mancuso, acquisisce forza espressiva lasciando dirompere l’enfasi della recitazione nei canoni della tragedia greca e, ancora, avvampa di orrore e sdegno in violente danze tarantolate per poi quasi svanire nell’aulico vibrare di un gong tibetano, che riporta alla luce un ulteriore sciagurato evento. Non c’è stile univoco per descrivere l’Inferno che ha attraversato Palermo: Il Mea Culpa di Pirrotta, nell’atmosfera di una veglia funebre, è un composito rito di prostrazione a metà tra l’ebraico, l’ortodosso, il cristiano e l’islamico. Le attrici sulla scena, Elisa Lucarelli e Cinzia Maccagnano sono due coefore in lutto bianco; voci esterne e immagini coinvolte nel vortice del cordoglio.
Una ninna nanna, intonata dai fratelli Mancuso, apre come una minacciosa ouverture un epico sogno: un Ulisse furente, legato all’albero maestro della sua nave, è intento a solcare le acque infestate dello stretto di Messina; nelle sue orecchie riecheggiano livide e turbinose le voci delle Sirene, esse cantano del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, del giudice Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, del magistrato Paolo Borsellino e del poliziotto Antonino Cassarà, della lunga agonia del appena tredicenne Giuseppe Di Matteo. La recitazione di Pirrotta si sviluppa in un concitato crescendo di svelata drammaticità, il ricordo è reso vermiglio dalla sofferenza di tutti costoro. La coscienza e l’intelletto bramano giustizia ma il corpo resta inerme, costretto e impotente trai legacci della paura, dinnanzi a cotanta ferocia.
Lo spargimento di sangue resta fuori dalla scena ma si insinua negli occhi degli astanti; i mafiosi, i sanguinari non sono che una risata mefistofelica alle spalle del capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano,un’ombra che corre parallela al finestrino dell’auto del politico Pier Santi Mattarella, un improvviso bruciore sulla schiena del capitano dei carabinieri Emanuele Basile a Monreale durante la festa del SS. Salvatore mentre reca la figlioletta in braccio.
La luce di fine Luglio è troppo forte, abbagliante e costringe a strizzare gli occhi. Ma a guardare per terra qualcosa resta, le orme dei passi di quelli che vinti non saranno mai e su quei passi, ancor di più nelle loro scarpe, possiamo trovare una strada nuova che non confonda la vista e i sensi. Sarà una strada ancor difficile, come in bilico su un filo, ma esemplare e noi seguiteremo a fluirla . E chissà che le loro scarpe salde e sicure non ci indichino altri e ancor misteriosi sentieri da percorrere, verso un sempre più agognato e limpido rinnovamento.
ALMANACCO SICILIANO
Vincenzo Pirrotta è regista e interprete – insieme a Elisa Lucarelli e Cinzia Maccagnano – dello spettacolo Almanacco Siciliano di Roberto Alajmo, prodotto dal Teatro Biondo, in collaborazione con l’Università di Palermo e il Consorzio allo Steri. Le musiche originali sono di Marco Betta e dei Fratelli Mancuso, che le eseguono dal vivo, la scena di Claudio La Fata, i costumi dello stesso Pirrotta e le luci di Nino Annaloro.