“La Sonata a Kreutzer”, romanzo breve di Tolstoj, si fa materia teatrale per il Biondo di Palermo. Rappresentazioni in sala Strehler fino a domenica 12 novembre.
Nel romanzo breve “La sonata a Kreutzer” lo scrittore e guru della letteratura russa Leon Tolstoj si addentrò con fervore “dostoevskiano” tra le ombre inesplorate agenti sulle dinamiche del rapporto di coppia. Il suo fu un esperimento letterario totale. Un romanzo in forma di dialogo, confronto, confessione, tra un gruppo di sconosciuti seduti nello stesso scompartimento di un treno in corsa. Ritenuto dai contemporanei scabroso e scontato, oggi è considerato un piccolo cult per la sua costante esaltazione dei moti più intimi dell’animo umano, allorquando si riflettono sulle azioni.
Avvalendosi della produzione del Teatro Biondo, il regista e attore Alvaro Piccardi rimodella il romanzo di Tolstoj nelle forme di un monologo corposo e intenso, intriso di un cinismo feroce.
Un personaggio narrante, anziano e stanco dei suoi stessi ricordi. Nelle sue parole, un’intera esistenza passata al vaglio di una ragionata disillusione, che sfocia nell’ossessione e nella violenza cieca. Piccardi lo impersona infondendo alle sue stesse membra un eleganza scocciata e organica (zoppica, starnutisce, tossisce, rutta anche). La recitazione è stirata sui toni dell’ironia, spinta e amara. Volge al tragico avviluppo della coscienza, nell’epilogo.
Nel riadattamento, Piccardi calca la mano sulla depravazione non legata all’atto fisico, bensì alla mancanza di responsabilità morale nei confronti di colei con cui si è espletato l’atto fisico.
La depravazione che funesta gli affetti falsa la visione della carnalità in negativo e genera incomunicabilità. Una parabola discendente verso un limbo funereo. Un non luogo adagiato, in scena, su un tappeto rosso che ricorda i saloni della nobiltà russa. Un coagulo di sedie scure, muta nell’adattarsi alle emozionalità del racconto ed ai personaggi terzi agenti. La sonata a Kreutzer di Beethoven eccita l’anima, piuttosto che elevarla.
Un uxoricidio per gelosia. L’ira del protagonista che nel pianto e nel dolore della propria moglie, ridotta in fin di vita, ne considera per la prima volta l’umanità. E’ l’esame di coscienza intimista e mesta di un uomo normale, figlio debole e criticabile di quella stessa società che lo ha forgiato. Nelle intenzioni ultime di Alvaro Piccardi si ravvisa un desiderio di denuncia per quelle relazioni di coppia che, ancor’oggi, incrociano impietose pulsioni autodistruttive. Forse anche una richiesta di perdono.