Grande successo per la Prima di Soirée Roland Petit. La Abbagnato regala alla sua Palermo una performance impeccabile ed emozionante
E’ stata la Soirée Roland Petit a far tremare le pareti e i vetri del teatro Massimo di Palermo, più di qualsiasi altra produzione lirica o ballettistica della stagione. In un’attesissima ed elegante Prima la città e la sua fondazione lirica hanno omaggiato Roland Petit, compianto genio della coreografia del ‘900; celebrata anche l’Etoile Eleonora Abbagnato, fulgido esempio di palermitano talento ad oggi riconosciuto in tutta Europa, e tenuto a battesimo nelle vesti di coreografo l’Etoile francese Benjamin Pech. Il cartellone del Massimo, prima della pausa estiva, ha dunque trovato nella grande danza il fiore all’occhiello della sua programmazione e su questa ha puntato con le giuste intenzioni dopo lunghi mesi -troppi- di quasi sola lirica. La danza ripaga sempre, in termini di presenze così come in ritorno d’immagine, d’altronde Abbagnato docet : “La danza viene sempre per ultima, ma alla fine dei giochi arriva sempre prima“.
Due gli atti unici dal repertorio più alto e intenso di Monsieur Petit: Le Jeune Homme et la Mort e L’Arlésienne. Coreografie ormai celebri costruite con un linguaggio che nella più rigorosa tecnica classica ha letteralmente tuffato un linguaggio coreutico innovativo, post-moderno ed esistenzialista. Una la nuova creazione, lo Stabat Mater recante la firma di Pech, vero e proprio dono dell’artista alla fondazione. Il compendio sulla carta sembra funzionare bene ma qualcosa stride a livello concettuale, presto detto.
I due atti unici di Petit sono parte di quel mirabolante genere di repertorio che, qualora eseguito degnamente (esattamente come avvenuto durante codesta Prima) nell’esatto momento in cui sono in atto risorgono e si infiammano di rinnovata vitalità. Le Jeune Homme et la Mort sviscera i concetti di solitudine affettiva ed ideologica e della morte; nella danza incisiva, accademica e polisemica sembra che si annidi un discorso filosofico-psicoanalitico iniziato il 25 giugno del 1946 e mai interrotto o venuto a concordie .
L’Arlesiénne dal canto suo, con un forma narrativa alla Flaubert, permea ogni istante della sua ricca e articolata danza di elucubrazioni, ossessioni e malcontenti che all’umanità sembrano indissolubilmente e pericolosamente legate ieri come oggi. Il mondo di Monsieur Petit non è riassumibile e ogni volta scorre come un fiume in piena. Invece lo Stabat Mater, ovvero la prima prova da coreografo di Benjamin Pech, pur nell’ispirazione e nella buona fattura appare come sbiadita; troppo rarefatta per suscitare un après di pensiero. Il suo inaugurare la serata con delicatezza neoclassica rischia di essere immediatamente dimenticato una volta seguito il volo alto e impetuoso delle arabe fenici di Petit.
Del resto non è semplice dar vita coreutica ad uno Stabat Mater (in questo caso quello di Antonio Vivaldi); versi e musica di queste sacre composizioni sono seri e densi di mestizia e dolore. L’idea di Pech è, a onor del vero, molto sentita e rimuginata: il coreografo plasma un Pas de Deux, su due arie dello Stabat, facendo della morte di Gesù e del pianto inconsolabile della Madonna un originale pietà dei sentimenti. Il balletto va a comporsi così di un amoroso afflato che si riflette tra i corpi e le anime dei due danzatori protagonisti (spesso frasi e legazioni sono eseguite a specchio, ovvero l’uno di fronte all’altro) e sembra che la sacralità si dissolva in un ambiguo dialogo incestuoso. La madre trascende se stessa, tra sinuosi abbandoni in décalé, nel suo ampio abito rosa cipria di chiffon e dal corpetto in tulle trasparente effetto nude. Gesù svanisce e del figlio resta un sofferente giovanotto qualsiasi, forse metafora delle molte vittime innocenti dei nostri giorni. Perfetta la sintonia, la leggiadria e l’eleganza dei due interpreti (la Abbagnato e lo stesso Pech), mirabili alcuni passaggi prettamente tecnici della danza (come quando Pech cingendo la Abbagnato per la vita la solleva delicatamente in obliquo procedendo a passo indietro, mentre lei con le gambe tese in avanti esegue una serie di petits battements devant, come lo sgambettare di un cerbiatto). Ma il phatos che traspare resta puramente sentimentale; le due arie dello Stabat Mater, per quanto magnificamente interpretate dalla soprano Natasa Katai, suonano come una forzatura. Le luci ovattate e astratte, anche se molto suggestive, sembrano alludere ad un paradiso perduto del piacere umano. Al Corpo di Ballo del Massimo è affidata l’ouverture coreografica del pezzo, sul concerto per violino dell’Inverno di Vivaldi (da le Quattro Stagioni). I nostri danzatori, peraltro in ottima forma, appaiono magnifici e fluidi, sereni durante l’intera esecuzione. Purtroppo le loro interazioni danzate sembra non vadano più in là di un mero sfoggio di tecnica. Lode a Pech per aver portato il virtuosismo tipico dell’ Operà de Paris tra le fila del nostro corpo di ballo, per gli artisti è un arricchimento prezioso e il pubblico gode dell’insuperata finezza estetica di un’arte coreutica di sì affermata fama mondiale, ma l’emozione resta nulla e l’esecuzione sterile di concetto.
Segue L’Arlesiénne con protagonisti la coppia Alessandro Riga e Silvia Azzoni. La coreografia di Roland Petit si staglia sul luminoso paesaggio pittorico della tela dal titolo “campo di grano con mietitore” di Van Gogh. La Azzoni convince per la sua adesione ariosa e allo stesso tempo drammatica al personaggio di Vivette; nel suo danzare si è vista la lievità dell’idillio e il penare appesantito e rassegnato della consapevolezza. Riga, nel personaggio di Friédéri, ha dato prova del sublime declinato al maschile; catatonico nell’espressione del desiderio insoddisfatto, esaltante nell’elaborato farsi tecnico della danza, a dir poco elettrizzante nel vorticoso crescendo finale del delirio prospiciente il suicidio.
Quest’ultimo momento è stato davvero meritevole di un’ovazione a scena aperta. Al corpo di ballo è spettata la farandola (danza popolare provenzale, eseguita da uomini e donne che si tengono per mano ndr); la resa è ottima e l’atmosfera insieme campestre e di carattere del balletto brillantemente restituita.
Le Jeune Homme et la Mort ha condotto lo sguardo del pubblico nell’oscura soffitta di un pittore bohemienne dall’esistenza derelitta. Nell’interpretazione de le jeune homme di Stéphane Buillon, anche egli Etoile dell’Operà de Paris, si è ravvisata quella prova d’unicità interpretativa che lo stesso Roland Petit richiedeva per codesto ruolo. L’esecuzione tecnica è stata ineccepibile, e Buillon ha dato il giusto risalto agli iconici passaggi coreutici del balletto (quali la celebre promenade en arabesque che il danzatore esegue reggendo, con il braccio protratto all’indietro, una sedia). A danzare il ruolo de la Mort nel suo sarcastico abito giallo canarino, una Eleonora Abbagnato dalla femminilità accentuatissima e dal sorriso luciferino. L’Etoile ha calcato ogni gesto colmandolo di effetto ed ha inquadrato passi e pose della coreografia di quegli accenti nervosi e languidamente subdoli pensati e pretesi da Petit. Sul funereo finale la femminea morte, in abito da gran ballo, si impossessa del volto de le Jeune Homme con la maschera di un teschio consunto, mentre in una sorta di inquadratura cinematografica morte e vittima si involano per i tetti di Parigi. Eleonora Abbagnato ammalia il pubblico (come sempre le riesce), e viene letteralmente investita da scroscianti applausi e calorosi “Bravo!” da ogni angolo della sala.
L’orchestra del teatro Massimo diretta dal maestro Alessandro Ferrari ha, con maestria assoluta, prodotto la musica delle tre coreografie (rispettivamente da Vivaldi, Bizet e Bach) impregnando però l’esecuzione dell’affascinante responsabilità del supportare la danza nelle sue innumerevoli esigenze e intenzioni. C’è dunque stato in questo spettacolo l’abbraccio tra arte coreutica e musica dal vivo.
L’Arlesienne, Le Jeune Homme et la Mort
Coreografie di Roland Petit, supervisione coreografica di Luigi Bonino
L’Arlesienne
Libretto di Roland Petit da Alphonse Daudet
Musica Georges Bizet
Le Jeune Homme et la Mort
Libretto di Jean Cocteau
Musica Johann Sebastian Bach
Stabat Mater
Coreografia di Benjamin Pech
Direttore: Alessandro Ferrari
Étoile: Eleonora Abbagnato (Opéra di Parigi)
Étoiles e primi ballerini ospiti: Silvia Azzoni (Hamburg Ballett), Stéphane Bullion (Opéra di Parigi), Alessandro Riga(Compañia Nacional De Danza de Madrid), Benjamin Pech
Stabat Mater (creazione in Prima Assoluta)
Musiche di Antonio Vivaldi
Coreografia di Benjamin Pech
Luci Alessandro Caso
Repliche ancora il 16, 17 (due repliche), 18, 19 giugno 2016.
Si ringrazia Rosellina Garbo per le foto dell’evento.