Spettacolo teatrale di grande successo al Festival di Spoleto 2017, ivi cooprodotto in collaborazione con la ATTO UNICO COMPAGNIA SUD COSTA OCCIDENTALE, dopo una lunga e apprezzatissima tournée giunge finalmente al teatro Biondo di Palermo “La Scortecata” di Emma Dante.
La Scortecata è una delle cinquanta fiabe che compiono la nota opera d’intrattenimento cortese dal titolo Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille (per gli umanisti il Pentamerone). Tale raccolta di fiabe si deve al genio estroso del seicentesco autore partenopeo Giambattista Basile. Lo cunto de li cunti, per gli amici cinefili, è anche un Kolossal diretto da Matteo Garrone e intitolato appunto Il racconto dei racconti – Tale of Tales.
Titolo reale della fiaba è “La Vecchia scorticata” e proprio nel film di Garrone è una delle fiabe narrate. Dalla suggestione tragicomico-truculenta di questa fiaba ne resta rapita anche la nostra Emma Dante. Tanto da adattarne una drammaturgia ad exemplum novo e costruirvi sopra una regia che rechi forte la sua firma giallo ocra e sudore di palcoscenico.
La Dante plasma la fiaba sin dal suo titolo, esordio visivo e immaginifico della drammaturgia, concentrando l’attenzione del pubblico sulla parola “scortecata”. Sostantivo feroce e impietoso.
La Scortecata è la vittima, anziana e disperata, di un ludico sogno di gloria tanto romanticamente vacuo da apparir realizzabile. E’ Carolina, novantanovenne poverissima che vive in una casupola bassa, maleodorante e malconcia insieme all’inseparabile sorella maggiore, la centoduenne Rosa. L’esistenza delle due vecchine è umilissima, eppure un giorno la soave voce da fanciulla di Carolina fa innamorare perdutamente il Re .
Dal nero porcile alle torri e ai pinnacoli di un castello. Immaginazione e aspirazione, fantasia e realtà sfumano l’una nell’altra. Le sorelle, emozionate e turbate da un tale evento, si immergono in un delirante gioco di ruolo che lascia scivolare Carolina in una dimensione della vita “scorticata” del raziocino.
Emma Dante conduce le mosse delle due anziane donne dal suo sadico serto di regia e con l’occhio rapace del drammaturgo inflessibile. Si diverte a metterne in luce le umane femminee fragilità onde calcare la mano su quella che, già nel Basile, era la morale della fiaba stessa ovvero “la condanna della vanità muliebre”.
La Dante dona a Rosa e Carolina corpi maschili, uno atletico e l’altro appesantito (i ritmici, espressivi ed instancabili attori, Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio). I due attori costruiscono le due sorelle quali caricaturali, dinoccolate, disossate, accartocciate marionette. L’intera messa in scena, poi, lavora su geometrie bidimensionali in equilibrio precario, atte a addizionare o sottrarre tenerezze e afflizione, ironia e mestizia.
ll testo forgiato dalla Dante è un precipizio fluido di lazzi e gergale comicità che si invola, sul finire, in un sentimentalismo nero e amaro. La lingua utilizzata è il fuoco ardimentoso del puro napoletano, popolare e barocco.
L’interazione scenica tra i personaggi permea ogni singola azione, letteraria o materiale, di significante e del suo netto contrario.
L’iniziale suzione perpetrata dalle due rattrappite donne sul proprio dito mignolo (onde poter mostrare al Re almeno un pezzetto di carne liscia e candida) sembra ricollegarle come riflesso incondizionato all’infanzia ormai sfiorita. Tale suzione diventa poi una sorta di “Taranta”, a sottolinearne lo stato catatonico e isterico proprio delle donne adulte. In Carolina, una tale contrita disposizione dell’anima, sfocia poi in un singhiozzante pianto cacofonico. Capricciosa prepotenza dell’ego, che ammansisce Rosa sino a quel momento sincera e spietata. Si apre così l’inscenamento, come un conforto/confronto veritiero e indiretto al confine d’una porta, tra due distinti e pur simili mondi.
La canzone “Mambo Italiano” con il suo palpito malizioso accompagna la notte di sesso tra il Re e la vecchia Carolina, descrivendone il carnale divertimento con movimenti che si rifanno ancora alla suzione, stavolta del regale membro virile. Ancora un riflesso delle perdute e rimpiante occasioni della giovinezza.
Al raccapriccio del Re, per aver giaciuto con una sì ignobile e orrenda nonagenaria, segue il di lei defenestramento in un ghirigoro di sproloqui. La magia della fata, risoluzione semi-divina d’ogni buona fiaba, si risolve nel classico travestimento tra bambine. Artificio del corpo, del trucco e dell’abito sulle donne in là con gli anni. Non una reale trasformazione fisica. Il lieto fine collassa nella pura illusione di un minuetto galante, in un’opalina atmosfera stile Disney.
Lo spettacolo si stringe, con luci color ghiaccio nel buio, sulla richiesta folle e lucida di Carolina. La scena è finita. Bisogna che da quella morte viva, qualcosa rinasca. Che dallo scorticamento della pelle vecchia, risorga pelle nuova. Rosa brandisce un affilato rasoio da barbiere, la cui lama tentenna e brilla nell’oscurità, e saldamente si avvia a incidere, strappare, spolpare il corpo di Carolina. Il suo gesto si percepisce generoso, barbaramente materno. Ma è l’inizio di un nuovo dolore che, per quanto forte della propria insana convinzione, non lascia spazio ad una reale speranza.
Con questo “La Scortecata” Emma Dante torna alla teatralizzazione delle fiabe (che già tanto seguito ebbe con titoli quali Anastasia, Genoveffa e Cenerentola). Regia e drammaturgia impetuose e selvagge, probabilmente più crude che in alcuni precedenti lavori a tema. La leggerezza è quasi del tutto bandita, al contrario si fa più forte e imperante la disillusione, il terremoto esistenziale, l’asprezza critica. Il lavoro della Dante resta sempre rotondo, consapevole e ammirevole. L’ennesimo traguardo.
Lo spettacolo è in replica, presso la sala Strehler del teatro Biondo di Palermo, fino al 6 maggio 2018.