Jean Giraudoux ce la presenta come la pazza di Chaillot. Aurélie la contessa bislacca e stravagante, dagli abiti sgargianti e fuori moda e ammantata di bijoux, è in realtà lo spirito tutt’altro che effimero di quel che resta della coscienza sociale nella sua miglior accezione.
La Pazza di Chaillot debuttò sulle scene del Théatre de l’Athénée di Parigi nel 1945, ad un anno esatto dalla morte del suo autore il commediografo Jean Giraudoux. Nel ruolo della pazza del titolo, l’attrice Marguerite Moreno per la quale, si dice, la commedia fosse stata appositamente composta.
Aurélie, la pazza, è la perfetta padrona di casa del quartiere di Chaillot (nel 16° arrondissement di Parigi); un piccolo mondo saggio e solidale abitato dalla ricca e variegata compagine umana degli ultimi: cameriere e camerieri, il cenciaiolo, mendicanti sordomuti, giovani spiantati, gendarmi. A rompere l’equilibrio pacifico di Chaillot le mire spietate e truffaldine di quattro loschi uomini d’affari, convinti di poter trovare il petrolio nel sottosuolo di Parigi e pronti a piazzare le trivelle.
Il capitalismo sfrenato, il denaro, il mercato petrolifero. Gli interessi senza scrupoli dei più forti e sopraffattori. Un muro coriaceo contro cui la pazza di Chaillot si frappone.
La pazza di Chaillot, può esser definita l’allegoria della stessa città di Parigi. La grande capitale francese che nella sua multiforme joie de vivre trova i mezzi per resistere all’occupazione tedesca. Dopotutto la commedia venne composta proprio nei giorni dell’occupazione della Ville Lumiere da parte dei Nazisti.
Restituire alle scene la pazza di Chaillot, negli anni 20 del 2000, ha il valore della riscoperta di un mito. L’idea registica di Franco Però, si appoggia totalmente alla forza prorompente ed irradiante della sua protagonista, lavora sulla mitologia della donna sola che, indomita, pervade gli avvenimenti della sua eloquenza solo apparentemente sconclusionata e si fa beffe del titano.
L’adattamento di Letizia Russo, sposa questa stessa lettura registica. La pazza di Chaillot si tramuta così, per ogni singolo componente del pubblico astante, nella paladina di una qualche causa.
Ecologista e ambientalista, femminista anche, certamente pacifista. La sua nomea di pazza che traslittera sopra coloro che minacciano il quartiere, le sue bellezze umane e paesaggistiche. Fino a divenire lei stessa la savia dell’intera vicenda. A conferire rinnovato vigore, brillantezza e pathos alla pazza Aurélie, l’attrice Manuela Mandracchia, in una delle sue straordinarie prove attoriali, palpitante ed espressiva.
Intorno alla pazza di Chaillot si raccolgono, Costance la pazza di Passy e Gabrielle la pazza di Saint Sulpice. Le comprimarie perfette della nostra protagonista. Quasi la stessa Aurélie (ormai anziana) in due differenti età della vita, Costance l’età adulta (con le sue ossessioni senza requie) e Gabrielle l’infanzia (con la sua leggerezza innocente). Sul palcoscenico costante contrappunto, brioso e acuto, di Mandracchia, le attrici Evelyn Famà ed Ester Galazzi.
La pazza di Chaillot, allestisce anche un tribunale rivoluzionario dove giudicare gli uomini in nero e le loro turpitudini. Poco più che un gioco di ruolo, a cui partecipano però volentieri tutti gli abitanti di Chaillot.
Il cenciaiolo (un superlativo Giovanni Crippa) assume l’identità del più malvagio del gruppo degli affaristi, rivelando biechi piani presenti e futuri. Messo alla berlina e passato per la giustizia popolare, quella del cuore, è dichiarato colpevole. Un momento teatrale corale, tanto sovraeccitato e partecipato, quanto estatico. L’apice gioiosa di una autentica giustizia, vicina al sentire comune d’oggi, nella quale è possibile ritrovarsi, di cui si può beneficiare e con la quale è semplice quanto intuitivo condividere.
L’intimità dell’amore, è l’ultimo strato della commedia. È necessario che Irma, la cameriera dolce e sognatrice (una lirica e delicata Zoe Pernici) lo raggiunga con il giovane Pierre. Un bacio d’amore come in una fiaba a suggellarne l’eternità, prima che tutto nuovamente deflagri in un tonfo sordo. Una rincorsa a perdifiato verso l’Utopia di un mondo onesto e retto. Senza però che questo necessario ribaltamento di valori giunga realmente a compiersi.
Cade la pazza di Chaillot figura di riferimento d’una civiltà libera, non allineata, idealista. Cade con tutta la sua brigata. Franco Però, lascia che uno degli uomini in nero danzi sulle macerie. A ricordarci che un finale lieto, a differenza di quanto fatto da Giraudaux, non può purtroppo ancora essere definitivamente scritto.
Di scema al teatro Biondo ancora l’11, il 12 ed il 13 Marzo.