Donatella Finocchiaro fa sua La Lupa, celeberrima novella di Giovanni Verga. Protagonista due volte, da attrice e regista, Finocchiaro passa al setaccio d’una vigile e mai superficiale analisi e parafrasi femminile, la focosa e sfacciata esistenza della Gnà Pina.
Una sessualità feroce e senza freni, l’istinto recondito dell’animo umano. Il moto perpetuo, stregonesco, che innerva e scuote La Lupa. Così Verga traccia il ritratto della Gnà Pina, nella sua, ormai, iconica novella. E il suo sguardo di uomo, impietoso, nulla lascia al caso. La Lupa tuttavia, inarrestabile, fugge al modello precostituito, alle etichettature. Nelle mani di Donatella Finocchiaro diviene altro da quanto di lei precedentemente narrato.
La Gnà Pina nell’interpretazione appassionata e prode di Donatella Finocchiaro è un personaggio bruno, altero e trascinante. Padrona assoluta della scena, dei suoi sensi e delle sue voglie. A risaltare, nella mimica dell’attrice, le gambe lunghe per emergere e sfiorare ciò che è lontano, ed affusolate come tentacoli, per aprirsi ed ammantarsi.
La Gnà Pina contratta, con fermezza di uomo, il matrimonio della figlia Mara con Nanni Lasca; ne sancisce il patto con una stretta di mano. Esattamente come avrebbe fatto un uomo, si infila nel letto dell’oggetto del suo desiderio conducendo e concludendo un affare. La Gnà Pina è donna e uomo insieme, potenza allo stato puro.
Tale patto è sancito nell’oscurità di una notte shakespeariana, puntellata dalle voci, lievi e intense, di donne fantasmatiche, smaniose e assetate di passione.
Da regista, Donatella Finocchiaro sottolinea il contrasto tra l’esterno (dei campi e delle strade) e l’interno (delle mura domestiche).
Interno ed esterno stridono rochi. L’attore Sabino Civilleri vi modella sopra, con perizia da studio ed esperienza nel teatro di Emma Dante, atteggiamenti e comportamenti dei personaggi di coro e contorno. Così le donne, compaesane della Lupa, appaiono in strada e alle finestre, con il capo coperto di nero. Il loro sesso soffocato da un canone ossessivo di gestualità da rosario pagano. Nell’indolenza mesta, ludica e dispettosa della loro condizione.
Allo stesso tempo, dentro le mura domestiche, seducono con lussuria i loro uomini, tolgono loro le camice e li avvolgono con le gambe, tra le cosce. Il loro è, pedissequo, il comportamento della Lupa che, tuttavia, lo esperisce all’esterno, sotto gli occhi di tutti. Si bagna il seno e le cosce con acqua fresca, sotto il sole cocente. Ammalia Nanni Lasca, lo spoglia e avviluppa, con disperato, veemente erotismo.
Si cancella allora la singolarità tentatrice della Lupa. Essa diviene energia danzante, elettricità vorticante. Una forza che pervade il gineceo policromo e polimorfo al ritmo de “These boots are made for walkin’ “. La Lupa nella sua totalizzante autonomia, piena ed esplicita, si fa codice e prototipo d’ispirazione.
Una ispirazione femminista, che ammutina ogni imposizione maschile. Questa la rilettura del testo teatrale verghiano, un ardimento di non poco valore ad opera della stessa Finocchiaro e della sua assistente drammaturga Luana Rondinelli.
Si riscrive il ritratto de La Lupa. Della sua indomata carnalità si chiede, immediata e giusta, la riabilitazione. Non più il demonio, ma la donna che lotta per il suo sacrosanto diritto al desiderio, al piacere senza colpe. Che si divincola e si sottrae dall’assetto -visivo- piramidale della cultura maschilista.
Un femminismo, tuttavia, tronco della fragilità, timida e riservata, della figlia di Gnà Pina, la giovane Mara. Quest’utima è un personaggio opalescente e bidimensionale a cui, però, la giovane attrice Chiara Stassi dona intensità, dignità ed una incrollabile consapevolezza, tali da eguagliare quelle della madre.
Un femminismo a sua volta stroncato dalla iperbole posticcia e melodrammatica del cattolicesimo imperante e altresì, ostacolato e contestato dalle argomentazioni di un maschilismo espanso. Maschilismo che ha ormai abbandonato i soli connotati patriarcali della micro società agreste e rivela il suo volto più truce e becero nelle interazioni di puro predominio d’una società civile, quella italiana degli anni 50 (periodo in cui la vicenda è trasposta), che si vorrebbe rinnovata.
È la società fintamente emancipata di metà secolo che l’attore Bruno Di Chiara condensa nel suo Nanni Lasca. Questi è uomo superficiale e materiale, interessato alla donna nelle sue accezioni più qualunquiste, quella di moglie o di appagamento sessuale.
Il Di Chiara taglia in due ogni scena in cui sembra stia per debordare la Gnà Pina. Ne punisce il lignaggio anarchico e l’asperità rivoluzionaria. Lo fa sino all’ultimo istante della rappresentazione, in controluce, di netto, verticalmente. La lotta arrestata, d’un tratto e violentemente, in un singhiozzo sordo. Un atto vile che riporti l’insolente, abbagliante lupa, al pianto senza voce e ieratico di una Madonna del venerdì Santo.
Una Madonna che ha il volto della Gnà Pina e che le donne compaesane vestono e idolatrano con il rimpianto d’una, ancora una volta perduta, possibilità di libertà.
Rondinelli costruisce per questa La Lupa un corpus drammatico in grado di travalicare ogni tradizione e consuetudine teatrale e letteraria onde ritrovarsi e sperimentare un racconto d’affrancamento e distruzione quanto mai contemporaneo. A Donatella Finocchiaro l’applauso caloroso del pubblico del teatro Biondo, per aver con sapienza e attenzione d’attrice di lungo corso, insieme organizzato e vissuto la scena.