Il teatro Massimo offre al pubblico palermitano tre straordinarie coreografie d’autore riassunte nel titolo solenne de La Grande Danza. Si tratta di tre brani di coreografi viventi, Doda, Duato e Kylian, assemblate come un degradè di colori, stili e toni.
Tre differentissimi brani coreografici per sensibilizzare, divulgare e promuovere l’eclettico, lo spiazzante e l’inaspettato della danza d’autore dei nostri tempi. Questa, in breve, la mission de La Grande Danza di scena in questi giorni presso il teatro Massimo di Palermo.
Nello spettacolo si assaporano tre atti unici che narrano del presente in divenire e del passato prossimo dell’arte coreutica. Sul palcoscenico è tutto uno sfumare, cangiante e ibrido, di linguaggi fisici, di atmosfere, di canoni e contesti performativi. Si susseguono nell’ordine, Sin lo Cual no del coreografo albanese Gentian Doda, Duende dello spagnolo Nacho Duato e le Sechs Tänze dell’insigne maestro cecoslovacco naturalizzato olandese Jiří Kylián. A danzare il sempre meritevole Corpo di ballo del teatro Massimo.
Alla potenza espressiva del lavoro di Doda fa da contorcanto la rigida delicatezza della coreografia di Duato. In netto contrasto con entrambe subentra, infine, l’armonica leggiadra ilare teatralità di Kylián.
All’indice delle curiosità il fil rouge che lega indissolubilmente l’ingegno, la ricerca e l’estro dei tre creativi. Il valenciano Nacho Duato è stato danzatore e prolifico coreografo, tra il 1981 e il 1988, del Nederlands Dans Theater allora diretto da Jiří Kylián. Il giovane e acuto Gentian Doda, da giovane corifeo è stato iniziato all’arte coreografica da Nacho Duato presso la Compañía Nacional de Danza in Spagna, quando questi la dirigeva nel 1990. Duato e Doda sono ad oggi, rispettivamente, Direttore Artistico e primo maître de ballet presso lo Staatsballet di Berlino.
Sin lo Cual no di Doda, che apre la serata, si ravvisa come il più interessante, affascinante ed esaltante dei tre lavori proposti. Nato nel 2007 lo si può considerare il balletto asciutto e meccanico della post-modernità. Negli intenti di Doda vi è la metafora dell’essere umano che, fagocitato nella ripetizione ossessiva delle sue mansioni e dei suoi doveri, muta a poco a poco in automa privo d’anima, finendo per auto-esaurirsi ed annullarsi nella socialità informe.
Sulla scena 9 danzatori, li si ritrova in posizione della sarvangasana (con la schiena distesa in terra, il coccige e le gambe protese verso il cielo) come candele calde dentro un motore ad accensione diretta. I corpi dei danzatori sono disumanizzati, meccanizzati, elettrificati; elementi vigorosi, scattanti fluidi ed in tensione inseriti e coesi dentro un grande marchingegno industriale, che è poi la coreografia stessa.
Nel balletto emerge preminente la forma del gruppo, come solido incastro di forze, spinte, picchi e resistenze. Non vi sono divismi ne si ricerca la spettacolarizzazione del fisico, ragion per cui i danzatori appaiono interamente abbigliati d’indumenti minimali dai colori terragni. La musica stridula, su campionature di rumori martellanti, firmata da Joaquín Segade accompagna movimenti che tra il caos e la forma si fanno taglienti, ripetitivi, arditi quando non falliti. Spalle e scapole disossate, gambe teste e braccia ritmiche e compulsive. Una donna rigida, sdraiata orizzontalmente, si tramuta nel pistone di un motore diesel, a mezzo del movimento rettilineo alternativo che i compagni le conferiscono sorreggendola sulle braccia.
In questo Sin lo Cual no si palesa l’ispirazione del film di matrice cubista le Ballet mécanique. Si può lodare l’esecuzione efficace, prestante e conscia dei nostri ballerini; con la danzatrice Elisa Arnone, scheggia che buca la quarta parete e si impone all’attenzione dello spettatore anche quando è di spalle. Un opera compiuta comunicante e sofisticata, dalla quale è impossibile staccare gli occhi di dosso.
Segue Duende lieve coreo acquerello del 1991 firmato da Nacho Duato su musiche di Claude Debussy. Un’atmosfera lunare e fantastica pervade la coreografia, che narra di elfi lirici e ludici immersi nel mistero della natura. Il linguaggio è neoclassico, puntuto, rigoroso, codificato al millimetro.
Quattro segmenti danzati vanno ad esaltare la bellezza e bravura dei danzatori del Massimo. I loro corpi si lasciano andare all’evanescenza aggraziata d’ispirazione fiabesca. Allo stesso tempo, però, rispettano gli atletismi bilanciati, inquadrati e armonici in stile Alvin Ailey nonché gli accenti geometrici e distorti sulle note di chiusura della partitura.
Magnifico, dinamico ed etereo il trio maschile formato da Alessandro Cascioli, Riccardo Riccio e Michele Morelli. Sul finale un tris di coppie come riflessa su specchi magici, circolari e perpendicoalri, triplica la propria fantasmatica presenza. Si sviluppa un grandioso elegiaco pas de deux d’ensemble emulo, speculare, dissonante, irradiato, compiuto su fisicità energiche fluttuanti e musicali. Il pubblico notevolmente rapito da Duende gli tributa un lungo e sentito applauso.
Chiude La Grande Danza, le Sechs Tänze di Jiří Kylián su musiche di Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un brillantissimo e brioso esempio di coreo-teatro. E’ un brano noto anche al pubblico della fondazione; rappresentato appena un anno fa nel programma del Trittico Contemporaneo. Un opera ormai di repertorio per il corpo di ballo del teatro Massimo.
Ciò non toglie che Sechs Tänze risulti sempre una piacevolissima visione per tutti, specialmente quando ben interpretato nella sua leggiadria ilare e spumeggiante. Come cicisbei imparruccati, madamine in sottana, tra nuvole di cipria e nei finti i danzatori costruiscono tableau vivant di carismatica essenza settecentesca, guidati dall’autoironia buffa delle note di Mozart. La danza si compone perlopiù di bizzarrie comiche e infantili come bolle di sapone. Da antologia i saltelli delle donne mentre gli uomini le afferrano e tirano in terra dagli orli delle gonne, come fosse un gioco di gruppo a cui si sottende una qualche pulsione sessuale. Nelle Sechs Tänze a brillare per incisività mimica e colore nella danza è la corifea Yuriko Nishihara. Va da sé, è il culmine del successo.
La Grande Danza in replica al teatro Massimo fino al 5 maggio 2018; allestimento e corpo di ballo del teatro Massimo.
Fotografie di Rosellina Garbo.