Era il 1970 e l’Opera La Favorite di Gaetano Donizetti andava in scena presso il teatro Massimo di Palermo per la regia di Ezio Frigerio. Nei ruoli principali si annoveravano, la mezzosoprano piemontese Fiorenza Cossotto e il mitico tenore Alfredo Kraus. A seguito di quelle gloriose repliche una lunga assenza, durata ben 48 anni, dalla programmazione artistica del teatro. In questo Febbraio 2019 La Favorite donizettiana ritorna, finalmente e con tutti gli onori, sulla scena del Basile e al pubblico palermitano.
Donizetti l’avrebbe voluta come l’Ange de Nisidia (l’angelo di Nisidia). Tribolate vicende economiche, organizzative ed umane ne sancirono la sostanziale metamorfosi d’arte ne La Favorite. Titolo assai più accattivante, nonché pruriginoso. Si vociferava fosse stato scelto in riferimento alla mezzosoprano Rosine Stoltz (effettiva prima Lèonor al debutto) amante e protetta del direttore dell’Opéra de Paris Léon Pillet e nell’ambiente conosciuta per i suoi mille capricci. La Favorite debuttò presso l’Opéra di Parigi nel dicembre 1840. Gaetano Donizetti raccolse così l’ennesimo grande successo in terra di Francia; precedentemente era stato osannato per la sua Lucia di Lammermoor.
Sostanzialmente La Favorite è un vero pregevole Grand-Opéra, genere tanto amato ed in voga nella Parigi di metà ottocento. La partitura tuttavia ben riprende musicalmente la fine e sofisticata formula melodrammatica romantica donizettiana. Ne risulta un componimento assai delicato, piacevolissimo e mai gravoso all’ascolto né alla fruizione. L’odierna produzione del teatro Massimo segue, sapientemente e fiduciosamente, tal solco confezionando uno spettacolo tradizionale, senza scossoni eppur suggestivo.
Tale formula è ben veicolata, innanzitutto, da un vagheggiato minimalismo ottocentesco nella regia di Allex Aguilera. È coadiuvata, per una perfetta quanto credibile riuscita, dall’arte magnifica dello scenografo e costumista Francesco Zito.
Un’appariscente cortina di broccato rosso dai ricami dorati, parte dello stesso corpus rappresentativo, crea al suo interno effetti di pittorico metateatro. Radioso, grazie ad un eccellente e più che mai squillante coro femminile, il bucolico gruppo muliebre al II quadro del I atto. Gli abiti delle dame, fruscianti voluminosi e dagli accesi colori primaverili, le ghirlande di fiori, l’atteggiamento rilassato e giocoso, richiamano alla mente il ritratto dell’Imperatrice Eugenia insieme alle sue dame di corte del pittore Franz Xaver Winterhalter.
Truce in sguardi, gestualità e corposo canto, dagli accenti efficacissimi sulle pause ad effetto, il coro maschile ovvero il gruppo dei signorotti al III atto. Costoro, guidati dal tenebroso Don Gaspar, tramano con gelosia e risentimento contro il giovane Fernand. Incappellati, arcigni e tesi, si dispongono lungo una tavola rettangolare restituendo un‘iconica rappresentazione del congiurare.
Un ultimo ma non meno importante particolare scenico la fontana, che si staglia al centro del magnifico chiostro moresco nel II atto. Nella struttura della vasca, così come nelle sue decorazioni e nella frescura che par diffondere tutt’intorno tra i cortigiani, si potrebbe ravvisare la superba fonte che domina il maestoso affresco staccato raffigurante il Trionfo della Morte. Opera d’Arte rappresentativa della città di Palermo, che in tal modo è omaggiata dentro l’Opera.
Al di là del grande drappo scenico vi è poi la propensione recitativa, lineare ed introspettiva perlopiù, ricercata e consigliata dal regista ai due protagonisti principali, la bella Lèonor e l’innamorato Fernand. Il regista non sembra prediligere l’interazione bensì il pathos ricreato dall’esecuzione, la libera spazialità del canto.
Nel ruolo di Léonor, la Diva Sonia Ganassi. Boccoli biondi, sguardo mesto e sempre dubbioso (come libretto vuole), la mezzosoprano appare calante alla sua prima uscita (II quadro del I atto) tanto da apparir come in secondo piano rispetto ad una sublime e gorgheggiante Clara Polito nel ruolo della damigella Inès. La vocalità dell’artista si riscalda, poi, nei tre restanti atti. Si lascia applaudire a scena aperta, lirica, piena ed emozionante nell’aria “L’ai-je bien entendu! Oui..Lui…Fernand!”, raggiunge gli acuti con la giusta spinta di petto ma tradendo un certo sforzo. Modula, corpose, le note che si profondono verso il basso. Riserva infine la sua timbrica più celestiale e sospirosa, che aiuta a visualizzare il passaggio a miglior vita di Léonor, al drammatico finale del IV atto.
Il tenore americano John Osborn, ha impersonato il giovane innamorato Fernand regolando l’intensità vocale tra l’angelico (a lui parecchio congeniale) e un registro tendente al limpido altisonante. La sua è una performance canora fluida anche quando la tonalità si fa ardua, e in ascesa continua. La caratterizzazione di Fernand è flebile, più incisiva solo nei momenti di raccoglimento.
La pervasiva vocalità grave e profonda del basso baritono Marko Mimica (Balthazar Padre Superiore del Convento di San Giacomo da Compostela) al I e al IV atto esalta, invero, la timbrica leggiadra dell’Osborn.
All’incrocio di più voci, salde, cangianti e condensate in svariati ritmi, suona grandioso e comunicativo il concertato rapido e montante alla fine dell’atto III.
A sfuggire a qualsiasi dettame della regia, bellissimo, statuario e forte d’un nobile e focoso piglio, il baritono Mattia Olivieri. Il suo re Alphonse XI, diviene quasi un personaggio a sé stante. Voce armonica, carica e rotonda, inserita in un fraseggio eccellente, Olivieri si fa fisicamente serpentino e sensuale nell’aria del II atto “Léonor! Mon amour à tes pieds, je suis esclave”. L’artista in assoluto più apprezzato ed applaudito.
Ultimo appunto di grande bellezza l’esecuzione, nella sua forma integrale, di un balletto durante il II atto. La coreografia ideata dalla ballerina Carmen Marcuccio amalgama assoli dalle elaborate movenze arabeggianti, con terzetti femminili dalla forte e aggraziata spinta folcloristica e briosi quintetti maschili di salto. Il tutto intervallato da un oscura pantomima, una danzatrice ammantata di nero, presagio di sventura per Lèonor. La fase coreutica si chiude con un bel dispiego di tecnica e disegno classico, tra lift e fouetté, dell’intero ensemble. Musicali e virtuosi i danzatori impegnati sul palco.
Spettacolo di tradizione che tuttavia ammalia e colpisce. Non sorprende con grandi trovate ma, sicuramente, si lascerà ricordare per il rarefatto romanticismo perseguito. Dilettevole e perciò consigliato anche ad un pubblico neofita.
Repliche presso il teatro Massimo ancora il 26, 27, 28 Febbraio e il 2 e 3 Marzo.
Fotografie di Rosellina Garbo e Franco Lannino.