King Arthur: Legend of the Sword, USA, 2017 – di Guy Ritchie con Charlie Hunnam, Jude Law, Astrid Bergès-Frisbey, Djimon Hounsou, Aidan Gillen, Eric Bana, Freddie Fox, Annabelle Wallis
Dopo avere reinventato Sherlock Holmes (in un dittico, per il momento), Guy Ritchie mantiene l’acceleratore premuto nel riscrivere (insieme a Joby Harold e Lionel Wigram) un altro personaggio mitico, King Arthur, in quella che ha tutta l’aria di voler diventare – se il successo le arriderà – un’origin story.
Lo stile, dicevamo, resta frenetico, adrenalinico, saltabeccante (grazie al montaggio complice di James Herbert, che si serve di flashback alquanto ingegnosi), colmo di azioni spettacolari coreografate con perizia. Tale bulimia visiva richiede grande attenzione (o addirittura una seconda visione) da parte del pubblico, e scatena il sospetto che dietro tanta abbondanza di artifizi la sostanza, in realtà, sia poca.
Tuttavia, ci troviamo di fronte a uno di quei rari casi in cui non è necessario essere particolarmente esigenti: la fruizione, in un certo senso impegnativa, ripaga. Merito di idee alla fin fine divertenti, di un “eroe eroico” (incarnato da Charlie Hunnam) in vena di spacconate, inopinatamente predestinato al trono e perciò avversato da colui che lo usurpò, lo zio Vortigern (un velenoso Jude Law), e di una confezione professionale votata all’intrattenimento puro.
Se ci fosse stata qualche calibratura in più, staremmo parlando di un film da non perdere. Ben scelti i comprimari, dalla maga Astrid Bergès-Frisbey (vista nell’italiano Alaska) al roccioso combattente Djimon Hounsou, per arrivare al nobile padre Eric Bana. Particina negativa per il calciatore David Beckham.