Jessica Pratt, superlativa soprano inglese naturalizzata australiana, torna sul palcoscenico del teatro Massimo di Palermo. L’artista, nota a livello mondiale, è stata protagonista del recital “Delirio”, summa delle più belle scene di follia e struggimento canoro tratte da Opere di Bellini e Donizetti.
Se Anna Netrebko è unanimemente considerata il Dio della lirica ed Angela Gheorghiu la Madonna (sacra e profana) dei teatri d’Opera, Jessica Pratt può dirsi lo spirito santo magnificente e pervasivo del belcanto. Amatissima dalla critica, regolarmente ingaggiata dai più prestigiosi teatri d’Opera del mondo ed ospite ambitissima di importanti festival lirici, Jessica Pratt è tornata a deliziare della sua arte il pubblico palermitano.
Il recital Delirio, compendio d’emozioni, furoreggianti tormentate e sovraeccitate di eroine belliniane e donizettiane, ha visto Pratt toccare vette performative altissime. La mirabilissima soprano ha elargito a piene mani incanto lasciandosi travolgere dal puro piacere del cantare.
L’ebbrezza e la gioia autentica del canto ad ogni nota emessa. Pratt è agevolissima in ogni disegno canoro, melisma, gorgheggio anche il più complesso. E il suo cantare non conosce sforzo, fluisce naturale, vivido e soavissimo.
La soprano riempie l’assopito cantabile “Ah non credea mirarti” di fiati lunghi e languidi a restituire il carattere colmo di dolce inquietudine di Teresa la Sonnambula di Bellini. Nell’eccitata cabaletta finale “Ah non giunge uman pensiero” fa invece un uso sapientissimo del piano sospirato e della voce spiegata dilettandosi in colorate infiorettature e generosi acuti.
Si fa drammatica, invece, nell’invocativa “Madre deh placati” per poi aprirsi amabilissima in scale armoniche e flessuose, ascendenti e discendenti, su un vibrato luminoso nel ruolo di Emilia di Liverpool del Donizetti.
Si fa più risolutamente tragica e grand’attoriale (quant’anche sostenuta dall’intervento incisivo e addensante del basso Andrea Comelli nella parte introducente dello spergiuro confessore Raimondo) nell’articolata scena della follia della Lucia di Lammermoor di Donizetti.
La duttile vocalità della Pratt incede solenne e riccamente espressiva sul declamato “Il dolce suono” si libra celestiale sull’aria “Ardon gli incensi” e si adagia, prodigiosamente mimetica e leggiadra, sul flauto, nella scena che vede il definitivo involarsi del senno dalla mente di Lucia. Su registro altisonante la cabaletta “Spargi d’amaro pianto”, il cui impavido sovracuto a voce spinta del finale fa venir giù il teatro. Scroscianti, prolungati ed adoranti gli applausi del pubblico.
Rapisce, ancora, la delicatezza angosciosa di Elvira (da i Puritani di Bellini) nell’aria “Oh rendetemi la speme o lasciatemi morire” su di una tonalità placida e rotonda ma pur sempre luminosa. A cui segue la cabaletta “Vien diletto è in ciel la luna” a cui la Pratt non lesina infiorettature ardimentose sino all’acuto di svettante bellezza.
Sorriso soave, portamento leggiadro e di spiccata inclinazione attoriale, un gusto estremo e pittorico per il trasformismo. Così Pratt ha sfoggiato ben 4 abiti uno per ciascuna eroina lirica protagonista delle arie in programma.
In bianco candido e voluttuoso, incorniciato d’un lungo mantello arricchito da una cascata di lustrini dorati, per la Amina dalla Sonnambula. In nero funereo, dal taglio solenne, avvolgente, scivolato e scenografico, ed una parrucca di capelli rossi, sciolta e selvaggia, per la Lucia di Lammermoor.
Di foggia medioevale, con corpetto a punta e maniche ampie d’un bel turchese acceso, ed il capo adornato di uno scintillante diadema in tessuto e lustrini per l’Emilia di Liverpool.
Per la bruna Elvira de I Puritani, indossa invece un principesco abito grigio fumé, dégradé al bianco sulle balze della gonna, dalle larghe maniche in foggia di stola ornate di pizzo sulle spalle.
L’orchestra del teatro Massimo, diretta splendidamente dal maestro Francesco Ivan Ciampa, ha proposto alcuni gradevolissimi intermezzi sinfonici. Tra i più coinvolgenti e interessanti, l’Ouverture dalla rara Dinorah di Giacomo Meyebeer. Quasi un ballabile, dall’orchestrazione corposa, tanto armoniosa (con un tintinnare di campanelli sugli archi) nella prima parte quanto furente nella seconda parte.
Accade poi che il chiaro e gentile fraseggio dell’aria “Nel silenzio della sera tornerem, felici, sposi” si coniugi fluido alla infiammata cabaletta “No, non è ver… Mentirono: tradir tu non mi puoi” (attraverso cui Linda di Chemounix -ancora del Donizetti- cerca di dar tregua alla propria attanagliante inquietudine amorosa) interamente cosparsa di rosei repentini salti di nota, ritmici sussulti e melismi ed un acuto a voce spiegata di eccezionale effetto.
La Linda donizettiana lascia, infine e letteralmente, spazio ad un inatteso Bis. Pratt si sfila l’ultimo pomposo costume di scena (rosso cremisi, dal taglio strutturato sormontato da un tripudio di pizzo nero, e con una ingombrante coda arricciata da fiocco e tulle) per rivelare un abito ben più minimale, nero, tutto in tulle, la gonna morbida, maniche a tre quarti e scollo a cuore, mai scevro però degli immancabili lustrini.
Un escamotage per lanciarsi nel vero e proprio divertissement dell’aria “Glitter and be Gay”, dall’operetta comica Candide di Leonard Bernestein, e così metter in luce anche la propria verve scherzosa, lieve, brillante. Ciò che Jessica Pratt si lascia alle spalle è quella sensazione di unico, prezioso, indimenticabile. L’arte operistica migliore, che sempre sa ammaliare.
Fotografie di Franco Lannino.