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Io danzerò – di Stéphanie Di Giusto con Lily-Rose Depp – visto e recensito da Verve

L’esordio alla regia di Stéphanie Di Giusto indaga la storia di Loïe Fuller, inventrice della serpentine dance. La figlia d’arte Lily-Rose Depp dà prova di possedere tutte le capacità per una grande ascesa ad Hollywood

La danseuse, Francia/Belgio/Repubblica Ceca, 2016  di Stéphanie Di Giusto con Soko, Gaspard Ulliel, Mélanie Thierry, Lily-Rose Depp, François Damiens, Louis-Do de Lencquesaing, Amanda Plummer, Denis Ménochet

Riscoprire, o scoprire, un personaggio del passato che magari non gode della fama che merita o l’ha persa nell’incedere caotico della storia è da sempre uno dei compiti precipui del cinema, che peraltro ama romanzare e “ricamare” sulle vicende accadute. L’esordio della Di Giusto scava appunto nel passato e nella carriera di Marie-Louise – detta Loïe – Fuller, transfuga americana a Parigi che inventò praticamente per caso una complicata forma di ballo, reso fastoso dall’uso di veli, stecche e luci colorate, l’impegnativa (più di quanto s’immagini) serpentine dance.

Dalle Folies-Bergère all’Opéra, un successo minato dalla fatica fisica, dalle questioni sentimentali (con il malfermo conte d’Orsay, suo iniziale mecenate, e – più aleatoriamente – con la futura diva della danza Isadora Duncan, giovane e ambiziosa sottoposta) e da una pervadente ossessione di perfezionismo. Soko, al secolo Stéphanie Sokolinski (che è anche una cantante), interpreta con apprezzabile passione il ruolo, con il rischio – pure al di fuori della finzione – di farsi rubare la scena dall’ascendente e delicata (doppia) figlia d’arte Lily-Rose Depp; ma è a Mélanie Thierry che spetta la parte più interessante (quella di Gabrielle, prima professionista teatrale a credere nelle capacità della protagonista).

Il “nobile” Ulliel incide solo relativamente, mentre la messinscena si sforza di omaggiare un’epoca e un’arte lontane. Curioso l’incipit “western” con Ménochet, genitore armeggione di Loïe. Solito doppiaggio irrispettoso delle differenze linguistiche.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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