I sette contro Tebe di Eschilo, il doppio diverso de Le Fenicie di Euripide. Ancora una tragedia, nota e molto apprezzata, chiude il 53° ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa.
I sette contro Tebe, rappresentata per la prima volta nel 467 a.C (insieme al Laio e all’Edipo) valse ad Eschilo la vittoria agli agoni (concorsi di drammi), rituali nella Grecia dell’epoca. Si tratta di un testo antichissimo, conservatosi per intero a dispetto dei coevi titoli succitati di cui restano solo dei frammenti ( insieme a questo formavano la cosiddetta Trilogia tebana ndr). Un’opera fortunata dunque, che continua ad essere molto apprezzata anche oggi. L’ultima volta a Siracusa si era vista in scena nel 2005.
La trama de I sette contro Tebe rievoca sulla mistica skené del teatro la guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, scatenata dal tradimento della fiducia e le smanie di potere. Argomento che già abbiamo avuto modo di conoscere nell’analisi de Le Fenicie di Euripide (su questo link la recensione). Rintracciamo, dunque, la stessa storia allo specchio che, però, nella sua specularità guarda su fronti opposti.
Eschilo, lavora a questa tragedia ben prima di Euripide. Nella sua scrittura si manifesta il minimalismo raziocinante di un uomo della sua epoca, impegnato attivamente nella vita pubblica e politica della Polis. I sentimenti sono repressi, l’unica vera concessione extra-umana è lasciata al fato.
Ad affrontare i 7 contro Tebe il regista Marco Baliani, che si confronta con un testo reso poderoso da lunghe e dettagliate descrizioni e dai moniti lapidari dei personaggi. Con creatività equilibrata Baliani costruisce, intorno e sopra ad essi, una forma teatrale che definiremo logos-coreutica. Coadiuvato dalla coreografa Alessandra Fazzino e dal compositore delle musiche Mirto Baliani.
L’indovino Tiresia, che nella tragedia eschilea non ha battute, diviene uno stregone indiano vestito d’un tetro manto di piume di corvo e con sul viso una lunga maschera ossea a forma di becco adunco. Il suo vaticino in scena, è una danza di grandi e vigorosi salti sul posto, scomposta da ampi movimenti delle braccia.
Le mura di Tebe divengono il luogo claustrofobico dello scontro tra i pochi personaggi chiamati in causa da Eschilo. C’è Eteocle, impersonato dall’attore Marco Foschi quale magnanimo dittatore. In sostanza il bruno e aitante interprete attribuisce al suo personaggio doti d’abile oratore. Lo rende un plagiatore, capace di emozionare profondamente chi lo ascolta. Un prepotente che sa obnubilare le coscienze del popolo (il coro) in suo favore. A lui si arrende la sorella Ismene, l’anima fragile e terrorizzata della famiglia. Figura femminile interessante per il confronto con la determinata Antigone, ma da Baliani sacrificata a sola voce defilata.
A lui si oppone, con risolutezza stoica, la sorella Antigone che lui vorrebbe dimessa. Nel ruolo della mitica principessa tebana una Anna Della Rosa dal viso affilato e lo sguardo gelido e indomito. L’Antigone di Della Rosa è saggia e per nulla incline all’emozione.
Nella descrizione dei sette eroi argivi al seguito di Polinice, nell’assedio delle sette porte della città di Tebe, risiede la scena figurativamente più interessante. La voce chiara e attenta del messaggero, l’attore Aldo Ottobrino, racconta dei guerrieri Tideo, Capaneo, Eteoclo, Ippomedonte, Partenopeo, Anfiarao e dello stesso Polinice, dunque I sette contro Tebe. Descrive le loro armi, e in particolare le effigi intagliate sui loro scudi. Sul una tale minuziosa analisi si profila un enorme cerchio di canne intrecciate. Due impavidi danzatori, Massimiliano Frascà e Liber Dorizzi, vi si arrampicano.
L’impalcatura diviene un palcoscenico sulla skené; un secondo luogo d’azione ove la parola muta in fisicità. Il corpo danzate presta la sua eloquenza muscolare ad un monologo altrimenti tedioso se fruito solo in forma di declamazione. Eteocle interviene su una tale galleria di personaggi onde contrapporre loro i suoi campioni tebani; li passa in rivista come un generale, tra i commenti del coro. A Polinice si opporrà lui stesso. Il fato di cui sopra, nel quale Baliani ricama l’idea della maledizione di Edipo pronta a compiersi. E lo fa anche per mezzo di un monologo, dalla livida ragionevolezza, proferito da Antigone.
La guerra tra i due fratelli, interiorizzata e resa viscerale da Euripide ne Le Fenicie, diviene per Baliani guerra materiale. Cinematografici i guerrieri tebani che sembrano vestiti con costumi ispirati al Rambo più selvaggio. Mentre un grande albero al centro della scena, ove tutti si accalcano pregando, appare come quello divino sul pianeta Pandora in Avatar.
La resa del conflitto prende spunto poi dalle immagini TV del fronte mediorientale: con le donne afflitte e terrorizzate nei loro chador, la terra squarciata dagli scoppi di bombe tra accecanti lampi di luce, suoni roboanti a metà tra una carica di cavalleria e un bombardamento aereo.
L’urlo di una sirena antiaerea mette fine alla tragedia, Eteocle e Polinice sono morti ed entrambi, adesso, sono in scena. Polinice lo si vede esclusivamente da cadavere. A rendere omaggio alle sue spoglie denudate solo Antigone. Una voce fredda e perentoria, da un megafono, comanda che a Polinice non sia consentita degna sepoltura ma solo una lenta decomposizione sotto i raggi del sole. Eteocle al contrario sarà compianto e sepolto con onore. Ordini del nuovo Re. La città è distrutta, la persuasione di Eteocle ha reso il popolo, assuefatto al peggio e come insensibile perfino al dramma della morte. E sarà allora che Antigone ammonirà il suo popolo ed il pubblico intero “State attenti, perché è sempre mutevole ciò che un governo ritiene giusto”. Si spengono le luci, queste parole riecheggiano nel teatro e forgiano una riflessione immediata e congiunta.
Potrete assistere ai I sette contro Tebe ancora venerdì 23 giugno e domenica 25 giugno 2017, presso il Teatro Greco di Siracusa. Per acquistare i biglietti clicca qui.