Ha debuttato, venerdì 6 Maggio, in Prima nazionale presso il Teatro Biondo Stabile di Palermo -e per la produzione dello stesso- Horcynus Orca, riduzione teatrale dell’omonimo romanzo di Stefano D’Arrigo, esempio massimo del genere postmoderno e sperimentalista Italiano.
Nella regia puntigliosa, studiata e quasi amorevole di Claudio Collovà, l’Horcynus Orca nella prolissità del corpus e nella sua sostanza si distende sul palcoscenico del Teatro Biondo e, come fosse un danzatore, comprime le sue lunghezze senza però tradire le linee e le peculiarità estetiche del suo essere. Non si tratta di un lavoro coraggioso, bensì dell’ambiziosa discesa nei meandri di un’opera letteraria dall’immane bellezza, troppe volte dimenticata; una sorta di dovuta celebrazione dello scritto di D’Arrigo. Queste le intrinseche necessità di questo Horcynus Orca alla ribalta.
Sulla scena oscura, permeata di morte e mito, viaggiano intorno al marinaio ‘Ndrja Cambrìa della ormai disciolta Reggia Marina Italiana, personaggi lividi e sibillini. Il mondo che essi calcano è quello in costante mutamento e pericoloso divenire delle settimane successive all’armistizio dell’8 settembre 1943, in pieno secondo conflitto mondiale. Il protagonista ‘Ndrja non è un ragazzo e non è un uomo, è un essere umano insicuro e tormentato, un disertore per il Regno d’Italia e nel corso della vicenda un mero vettore di forze sovrannaturali e delle implacabili velocità tipiche dell’umanità. ‘Ndrja è interpretato dall’attore siciliano Giovanni Calcagno. Fisicità aitante e gestualità vibrante, l’artista ha però deluso per la sua dizione impastata (specialmente nel corso del primo atto) che rendeva difficoltosa la comprensione di parti consistenti del copione.
Nel Horcynus Orca tutta la vita di ‘Ndrja si risolve in un mesto e psicologicamente concitato viaggio verso la morte, condotto in pochi giorni, e in tre significative tappe (ispirate alla suddivisone critica che ne ha fatto Siriana Sgavicchia accostandone gli attributi al peregrinare sovrumano di Dante tra le tre cantiche -Inferno, Purgatorio e Paradiso- della sua Divina Commedia ndr) che Collovà rintraccia in tre momenti distinti eppure consequenziali della storia, e che rinomina: il transito, il ricongiungimento e la morte.
Il transito dello stretto di Messina (tra i promontori di Scilla -in Calabria- e Cariddi -in Sicilia) avviene sulla barca della femminota di nome Ciccina Circè, la contrabbandiera della sensualità, la maga incantatrice delle fere (i delfini) e delle maledizioni dei caduti, il cui sangue rende vermiglio il mare. La Circè, interpretata con maestria drammatica e fervore esoterico, dall’attrice Manuela Mandracchia appare come Caronte sul fiume Stige sulla sua barca impeciata di nero; la femminota nel traghettare ‘Ndrja verso l’isola natia ne rapisce i sensi e lo inizia all’eterno lascivo avvilupparsi di Eros e Thánatos. Il ricongiungimento, sancisce il ritorno a casa di ‘Ndrja tra le vestigia di ciò che della sua famiglia è rimasto: un padre, Don Caitaniello, nelle carni vigorose dell’attore Vincenzo Pirrotta, avvinto da una penosa inquietudine, sfiduciato dall’umanità e ossessionato dal fantasma dell’amatissima moglie deceduta (ancora la Mandracchia evanescente ed incalzante Willy dall’abito nuziale). Il rapporto padre-figlio anche qualora trasportato dalla brezza di una sospirata riappacificazione si troverà coinvolto suo malgrado nel vortice degli anni perduti, delle solitudini sofferte e delle ferite inferte all’anima dalla guerra. Ma il tempo sembra non bastare e al protrarsi scarno e sofferente dell’esistenza di ‘Ndrja si frappone con ferocia la morte, incarnata dall’Orca ferone essere spaventoso quasi mitologico e metafora del male bellico; istigatore aggressore e vittima della sua stessa nefanda natura, l’Orca è ridotta dalle fere a bianche ossa nel mare dei vinti e dei reietti.
L’Orca emerge spaventosa tra i flutti di un mare colmo di rottami e di sogni infranti, mentre il suo vagito armonico e sinistro fa eco alle narrazioni ed ai vagheggiamenti di Don Caitanello. Emoziona la mascolina dolcezza con il quale Caitaniello lava il corpo aitante del figlio, compie su di lui un’abluzione, mentre questi ignaro si appresta a vogare verso la morte; al compiersi dell’ineluttabile si compone una pietà michelangiolesca tutta declinata al maschile, che sorprende per forma ed enfasi.
Il dramma gode di un allestimento scenografico di gran pregio ad opera di Vincenzo Venezia, denso di figuratività e ispirazioni pittoriche; i costumi, anche questi di Venezia, sono progettati e costruiti secondo i canoni precisi del racconto. La musica di Giuseppe Rizzo diviene fondamento portante del sentire dei personaggi, mentre i video subacquei realizzati dalla video maker Alessandra Pescetta introducono lo spettatore in ciascuna fase del dramma realizzando intense ed eloquenti sinestesie di immagini. Il linguaggio di D’Arrigo nei ghirigori dei suoi vocalismi, delle invenzioni linguistiche, dei retaggi dialettali, delle onomatopee è sulla scena elegantemente ripreso e mostrato in tutto il suo splendore.
Repliche ancora il 08,10,11, 12, 13, 14 e 15 Maggio, presso la sala grande del teatro Biondo Stabile di Palermo di Palermo. E’ una produzione del Teatro Biondo Stabile di Palermo. Per maggiori info consultate il sito del teatro Biondo