Un’Opera seria, grave e solenne, il Guillaume Tell di Gioacchino Rossini. Una regia, quella di Damiano Michieletto, che scava tra le pieghe del libretto firmato da De Jouy e Bis facendone affiorare reconditi significati, crudeltà sommesse e spaventose. Uno spettacolo contemporaneo che attira e si lascia notare. Le contestazioni, ovviamente non sono mancate.
Per inaugurare la stagione lirica 2018 il Teatro Massimo di Palermo opta per l’Opera seria di Gioacchino Rossini Guillaume Tell. E’ una scelta a tutti gli effetti coraggiosa. L’Opera è molto compassata, benché termini in gloria. A livello musicale risulta aspra, piuttosto statica e tendenzialmente solenne.
A livello compositivo sancisce il salto in lungo tra lo stile classicista, reduce dai fasti di fine settecento, e il nuovo stile grand operistico romantico. Un’Opera di transizione, e tra le rossiniane la più matura. Non a caso fu la sua ultima, composta nel 1829. Al Teatro Massimo si deve, con la messa in scena di quest’Opera, l’apertura delle celebrazioni in occasione dei 150 anni dalla morte del maestro Rossini.
Guillaume Tell, rappresentata senza tagli (4 ore e 15 minuti) e nella sua forma linguistica originale ossia in lingua francese, non si vedeva sulle scene del teatro di Palermo da oltre cinquant’anni.
Il pubblico di questa Prima è quello istituzionale e intellettuale delle grandi occasioni. Tra le personalità presenti in sala la regista Emma Dante, la responsabile de Le Vie dei Tesori Laura Anello, la contralto Marianna Pizzolato, la musicologa Anna Tedesco, il performer Italo-Inglese Ernesto Tomasini, la musicista e critica musicale Sara Patera. Seduti nel palco reale insieme al sindaco Leoluca Orlando il ministro della coesione sociale Claudio De Vincenti, il prefetto Antonella De Miro e il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno.
La regia forte e ricercata, talmente articolata da sovrastare la pur multiforme struttura musicale rossiniana, è firmata da Damiano Michieletto.
Il regista Michieletto estrae dalla vicenda e da alcuni precisi versi del libretto tematiche che sanno di sacro e di umano, le unisce e le rende significanti attivi dell’attuarsi scenico. Il suo è un lavoro estremamente concettuale. Fortemente contestato al suo primo apparire, nel 2015 presso la Royal Opera House Covent Garden di Londra, perché ritenuto in alcuni passaggi eccessivamente efferato.
La Svizzera, abitata da Tell e dalla sua famiglia, è secondo Michieletto un luogo di contatto profondo tra la natura e l’uomo. Un angolo di terra fertile e idolatrata, invaso dalla brutalità dell’oppressore austriaco. Visivamente il terriccio che ricopre il palcoscenico, inglobato però in una fredda scatola illuminata da cangianti luci al neon. (nella scenografia di Paolo Fantin)
Non a caso nel I atto la benedizione, che tradizionalmente l’anziano Melcthal impartisce a due coppie di giovani sposi, muta in un rituale religioso che coinvolge i popolani nel cospargersi della terra natia.
Un alberello verde, che a fine I atto sarà sradicato da un soldato austriaco, diviene nel corso dell’Opera personaggio vivo e partecipe della mestizia e degli affanni attraversati dal popolo svizzero a causa della dominazione straniera. Il tronco, pur divelto e con le radici scoperte, cresce come una quercia. Diviene gigantesco (3,5 tonnellate) ma allo stesso tempo non produce più ne frutti ne foglie. Riempie di livido grigiore lo spazio. La sopraffazione dell’uomo svizzero passa attraverso lo scempio della natura; dei boschi, dei fiumi, degli armenti.
Altro spunto di riflessione, imperante nella regia di Michieletto, è la barbarie che una oligarchia straniera può attuare sugli inermi (donne, bambini e anziani). Soldati muniti di mitra, vestiti di giubbotti anti-proiettili terrorizzano i civili con giochetti sadici e oppressioni psicofisiche. La crudeltà, nuda e perversa, la fa da padrone sulla scena.
Si arriva presto a disquisire della contestatissima scena dello stupro. E’ il III atto e siamo a palazzo del bestiale governatore austriaco Gesler. Ivi si tiene una banchetto tra militari, l’atmosfera è goliardica e avvinazzata. Si celebrano i 100 anni di dominazione austriaca sulla Svizzera.
Siamo nell’ambito di un intermezzo, con un Rossini che compone musiche per il balletto. Non un’occasione per stemperare gli animi, si badi bene. Il libretto infatti recita: “i soldati austriaci costringono a danzare le donne del luogo”. Michieletto dal canto suo provvede ad epurare delle danze la sua rappresentazione, rimpiazzandole con un passaggio narrativo di grande tensione emotiva.
Una fanciulla, candida e avvenente (una bravissima ragazza tra le comparse), viene invitata da Gesler a bere alla sua tavola; la situazione presto degenera ed i militari con foga e cattiveria si beffano della giovane e ne abusano. La musica dell’intermezzo, lieve e colorata, ricorda scarpette da punta e tutù, ma contrasta risolutamente con l’atroce accadimento che si consuma sulla scena. Si crea un effetto straniante che turba.
La tempesta sul lago, altro noto intermezzo musicale presente nell’atto IV, viene narrato in scena con l’ausilio del montaggio video di alcune strisce del fumetto del Guillaume Tell che ne rappresentano i momenti salienti. La tempesta assume così i connotati di un accadimento fisico, mitizzato nel tempo. Il racconto di una leggenda.
La regia, in questo spettacolo, è preminente e si palesa sovente anche su protagonisti e coprotagonisti. Tutti sul palco sono tenuti a rispettare una caratterizzazione precisa, vocale e/o recitativa. I cantanti non posso esimersi dal seguire ciò che per i loro personaggi di riferimento è stato pensato, pena il risultare scialbi e fuori contesto.
Così accadde, purtroppo, al Guillaume Tell del baritono Roberto Frontali. Vocalità noiosa ed esecuzione incolore, ad eccezione di alcuni passaggi più lirici nel III atto e di una buona resa sul finale, mista ad una recitazione eccessivamente frontale, spesso trascinata e mancante della giusta intenzionalità fisico emotiva. Ed è un vero peccato, alla luce della visione che il regista aveva del protagonista.
Nell’idea di Michieletto Guglielmo Tell muta da padre, uomo semplice fragile e comune, in eroe per la salvezza di figlio e patria. Una vera e propria traslitterazione condotta dall’alter-ego dello stesso Tell, paladino in abito medioevale e armato di balestra (l’attore Alberto Cavallotti), protagonista indomito di un fumetto omonimo letto e riletto dal figlio Jemmy .
Belli i passaggi di testimone che, “l’eroe di carta” attua nei confronti dell’uomo in carne ed ossa. Dapprima una faretra piena di frecce, legata con molti nodi ai suoi polsi mentre il coro delle donne canta appunto “celebriamo i dolci nodi”. L’amore per la patria che lega l’uomo al suo dovere di difenderla. Poi una spada, infine la fatidica freccia (che Tell costretto da Gesler scaglierà, colpendola, contro una mela posta sul capo del figlio Jemmy e che userà infine per trucidare il tiranno). Peccato che nell’atteggiamento di Frontali tali soluzioni metaforiche restino nel limbo d’un recitato scevro di credibile coinvolgimento.
Splendida la Mathilde, principessa d’Asburgo, interpretata da Nino Machaidze. Una figura soave e celestiale, di azzurro vestita e dai capelli biondi. La soprano convince l’udito del pubblico per mezzo della sua vocalità piena e controllata, in grado tuttavia di spingersi in vocalizzi di volta in volta vertiginosi e delicati. Nel II atto Mathilde, sola sulla scena, si arrampica sul tronco divelto e vi si siede in una posa allungata, stile Biancaneve. Carezzando la corteccia ella canta, nella romanza “Selva oscura e deserto triste e selvaggio”, l’amore per il pastore svizzero Arnold. La scena rimanda ad un inconscio erotico. Lo psichiatra e filosofo Lacan avrebbe ravvisato nel tronco dell’albero il fallo di Arnold, carezzato dalla mano palpitante di Mathilde.
Moltissimi altri personaggi agitano la scena, e tutti a loro modo lasciano un segno.
Il giovane svizzero Arnold è impersonato dal tenore Dmitry Korchak. La vocalità di Korchak, aperta e tendenzialmente lirica, è suonata parecchio muscolare nel registro acuto. A livello recitativo Arnold è pervaso da uno struggente mascolino amor filiale, che si incontra e scontra con le ragioni del cuore che lo uniscono a Mathilde. Arnold vive dei suoi dolori senza vergogna e la sua audacia non è mai priva di discernimento, ma è spesso riconducibile alla sua intima sensibilità. Questa la visione di Michieletto che trova puntuale riscontro nell’interpretazione globale di Dmitry Korchak.
Il basso Luca Tittoto corporatura aitante, l’atteggiarsi musicale al pari di un danzatore e la voce chiarissima e abile nel fraseggio, fa del despota austriaco Gesler un antagonista leggero nel suo esser incapace d’empatia. Un malvagio ferino e impietoso, ma quanto mai fascinoso.
Espressiva e vocalmente squillante la soprano Anna Maria Sarra, nel ruolo di Jemmy figlioletto di Tell. Materna e rosea la Hedwige, moglie di Tell, nelle corde vocali in sovracuto del mezzo soprano Enkelejda Shkoza.
Il cast si completa splendidamente del basso Emanuele Cordaro (il vecchio saggio svizzero Melcthal padre di Arnold) del tenore Matteo Mezzaro (il sadico Rodolphe braccio destro di Gesler) e del baritono Paolo Orecchia (nel ruolo drammaticissimo di Leuthold).
Il coro del teatro Massimo, infine, merita una menzione speciale per la sua capacità di farsi poliedrico e uniforme, a seconda delle necessità. Per la sua generosità nell’entrare, con entusiastica energia, dentro gli ensemble canori e scenici. L’incessante lavorio del coro, in quest’Opera, diviene elemento comprimario tra i protagonisti (vedasi l’apertura del IV atto, con il coro degli uomini come un corpo solo intorno a Arnold).
A dirigere l’orchestra del teatro Massimo, il maestro Gabriele Ferro. La famosissima ouverture del Guillaume Tell, nell’esecuzione perfetta e parecchio setosa all’udito -finanche nel galop– strappa al pubblico un sentito e lungo applauso.
Il medesimo applauso purtroppo non accoglie Michieletto. Una valanga di “Buuuuh” travolge il regista a fine spettacolo. Nonostante il gran finale oltremodo emozionante, con il sole splendente che sorge sulla Svizzera liberata mentre un bambino pianta un nuovo alberello nel bel mezzo della scena. Nonostante l’intelligenza creativa profusa.
Lo spettacolo è impegnativo, non adatto ad ogni sorta di pubblico. Non va solo osservato ma costantemente analizzato. Si auspica che le mani di coloro che assisteranno a questo Guillaume Tell nelle prossime repliche (il 25, 27,28,30,31 gennaio) non si armino di balestra e frecce per colpire la mela dell’innovazione sulla testa di Damiano Michieletto.
Foto di Rosellina Garbo e Franco Lannino.