Barbara Gizzi critica teatrale e pregevole studiosa classica prestata alla drammaturgia esplora con il suo Gli Spartani la terra di mezzo che si estende tra il mito narrato e la tragedia teatrale greca.
Al Segesta teatro-festival 2024 va in scena l’ardimentoso Gli Spartani dramma in un atto composto da Barbara Gizzi per la regia di Daniele Salvo. È l’epopea di Leda, regina di Sparta sedotta ed ingravidata da Zeus sotto forma di cigno, e delle sue figlie dalla grande ed eterna fama tra i posteri Elena e Clitemnestra.
Gizzi costruisce un testo che, riecheggiando gli stilemi della tragedia antica eschilea, si adagia su formule poetiche originali, convincenti e di assai evocativo phatos. Il mito narrativo è sondato nel recondito della sua forza primigenia e generatrice. Una fertile terra di mezzo dalle cui fonti la drammaturga attinge e raccoglie, ora a piene mani ora con attenzione scrupolosa, dettagli, curiosità e linee relazionali e descrittive.
La tragedia, che aleggia nell’incombenza inevitabile del fato, si amalgama alla più euripidea ragione dell’essere umano. Spirito tragico e dramma dell’animo fanno gioco sulle principesse spartane.
Elena, la virginea dalla sfolgorante bionda bellezza, con il suo incedere etereo e il miele delle sue parole caste e remissive. E Clitemnestra, la furente dai capelli fulvi, gli occhi di fiera, le braccia virili e le parole cariche di dolore e vendetta. Nelle due si incontrano e scontrano la luce e l’ombra, la terra molle e la pietra acuminata.
Tale dualismo fisico è interpretato da Giulia Sanna, attrice soavissima e ieratica nel ruolo di Elena e dalla talentuosissima e potente Valeria Cimaglia, Clitemnestra dal fascino angoscioso e rapace.
L’attrice Elena Polic Greco da sembiante a Leda, il mito incarnato. Ne fa una regina dalla pelle bianca come il marmo d’una statua, l’incedere regale ed il portamento dignitoso. Il suo grembo pare sempre scosso dall’ intimità con il divino mentre la mente è attraversata da vaticini sanguinolenti.
Nel suo colloquio specialissimo con Zeus, Leda pare vivere del privilegio che la segna, dimentica delle umane sofferenze e peripezie cui vanno incontro le figlie. Vicino a Leda, re Tindaro, marito terreno, cui l’attore Massimo Cimaglia da espressività concreta, salda e allo stesso tempo una avvinta tenerezza paterna nei confronti di Clitemnestra. Quale muro portante dell’intero corpus teatrale, la voce oscura e profonda del grande Ugo Pagliai come Ebalo, progenitore dell’intera stirpe Spartana.
A scontrarsi apertamente con Clitemnestra è l’atride Agamennone, cui l’attore Giuseppe Sartori conferisce la spigliatezza boriosa, canzonatoria e sprezzante del dominatore, su una dinastia senza più uomini ad ereditarla. Agamennone è il nodo gordiano della collera fumante di Clitemnestra ed egli stesso sopravvive immerso nell’ira vendicativa d’un passato nero che lo tormenta. Un personaggio all’apparenza bidimensionale, a cui però Sartori da determinismo, dimensione e una netta posizione di volta in volta opinabile.
Leda, Elena e Agamennone spaccano e trapassano la quarta parete, entrando e uscendo tra la cavea e la scena. La madre divina, la bella oltreumana ed il trionfante sopraffattore, sono resi scenicamente come lame tomentose nelle carni di Clitemnestra.
A cornice di tali personaggi si staglia, in pose e coreografie da bassorilievo scolpito, un nutrito coro di uomini spartani. Un gruppo di cavalieri che con le loro nenie patriottiche (talvolta in greco antico) appiattiscono qualsivoglia personalismo o soggettività.
Non c’è storia femminile o familiare che tenga, solo alla città di Sparta si devono, infine, onore, rispetto e fedeltà. Clitemnestra deve piegare il capo ad Agamennone , a quello che per lei è un nemico, come la cerva al segugio che la bracca, sino all’ineluttabile prossimo venturo. Il coro dei guerrieri, armati di lancia e scudo, sembra guidino finanche il fato, di tragica memoria, ad esaurirsi dinnanzi a Sparta.
Gli Spartani di Barbara Gizzi si lascia collocare nell’annovero delle drammaturgie post- contemporanee che si impongono all’attenzione del teatro d’oggi. La sperimentazione è qui squisitamente classicheggiante, culturale. Ciò, benché una lettura superficiale e tendenziosa possa sentirsi autorizzata a declassarne la portata in mera novelas mitologica.
Altresì la volontà del regista Daniele Salvo, nella collaborazione dell’eccelso Daniele Gelsi ai costumi e di Giuseppe Filipponio alle luci, opera una messa in scena di importante impatto visivo e performativo. Un’anticaglia, nella terra di mezzo inesplorata, del mito drammatizzato.