La trepida Giselle riappare, in una calda serata di fine luglio, sulle assi del palermitano teatro di Verdura. L’iconico, indimenticabile balletto romantico è di scena con la rilettura coreografica di Patrice Bart e una intensa, delicata, incantevole Nicoletta Manni nel ruolo omonimo.
È stata una Giselle d’alto livello, quella proposta dal teatro Massimo di Palermo per la programmazione estiva 2021. Uno spettacolo di grandissima fattura e pregio, nonostante l’impedimento che sembrava fosse destinato irrimediabilmente a funestarlo: ovvero l’improvvisa indisposizione della prima ballerina romena, l’ottima Alina Cojocaru precedentemente ingaggiata per danzare nel ruolo della protagonista.
La Cojocaru è stata però sostituita, in corsa, dalla prima ballerina scaligera Nicoletta Manni. Prodigio della Danza, la sorte dello spettacolo non solo si è risollevata garantendo qualità e coinvolgimento emotivo ma ha condensato l’intera performance di intenzione e significato. La tersicorea galatinese è stata l’ultima professionista, insieme alla collega Martina Arduino ad aver studiato il ruolo di Giselle insieme alla immensa Prima Ballerina Assoluta Carla Fracci. È accaduto così che Manni si sia resa magistrale e attenta interprete della memoria artistica della grande artista recentemente scomparsa.
Carla Fracci – cui lo spettacolo è stato dedicato dal teatro Massimo- ha aleggiato sull’intera mise en scène come uno spirito benevolo.
Manni ha cosparso la sua danza di sentiti concreti omaggi alla indimenticabile Fracci facendola rivivere, letteralmente, nei dettagli gentili dei gesti d’innamorata, nel sorriso argentino ed infantile e nel controllo equilibrato e armonico, mai disallineato, della figura in arabesque e penché. Ancorché arricchendo quel potente linguaggio, fitto d’estro e raffinatezza, con le peculiarità aggraziatissime, eteree e minuziose del proprio elegantissimo accademismo.
Si riconoscono altresì alla Manni squisite doti d’attrice allorquando affrontando la scena della pazzia, allo sguardo perso nel vuoto e rincretinito dal fuggevole senno, aggiunge e reitera gesti ossessivi come lo scrollarsi di dosso con le mani, da sopra le vesti, qualcosa di lercio.
Così l’iconico, storico e amatissimo balletto, che sembrava trovarsi nell’impasse della defezione della Star, ha potuto ancora un volta deliziare e rapire la sempre varia platea del teatro di Verdura.
La coreografia del classico riletta dal francese Patrice Bart ha il merito di creare ben più corpose e composite scene di gruppo durante l’intero primo atto. La formula del coreografo, oltre a recuperare il florido sestetto al femminile d’intermezzo al pas de deux dei contadini, pone in risalto il gruppo dei danzatori uomini nei ruoli dei vendemmiatori. Possibilità espansa ed energica che i membri massimini del corpo di ballo maschile, scritturati per la produzione, hanno afferrato a piene mani e degnamente realizzato. Tra le loro fila, per impeto e portamento, si è lasciato notare il danzatore Dennis Vizzini.
Il pas de deux dei contadini ha visto esibirsi con sommo gaudio i sempre riconoscibili Yuriko Nishihara e Alessandro Cascioli. I due danzatori dalle figure armoniche e le fisicità proporzionate hanno espresso nella danza il meglio vicendevole e affiatato della loro esperienza professionale. Nishihara ha sfoggiato una tecnica di punte d’estremo candore e levità, legata ad un controllo ornamentale degli arti superiori molto più che grazioso. E se Cascioli può esser parso legnoso sul doppio battuto in gran cabriole en avant, è da intendersi come un nonnulla ben lontano dal pregiudicare una performance che si può dir brillante.
Eccelso il gruppo delle danzatrici Villi, che illuminate dalle luci di wood (orientate da Salvatore Spataro) sui lunghi tutù Degas bianchi erano in tutto identiche a dolenti fantasmi.
Davvero straordinaria en pointe Maria Chiara Grisafi nel ruolo di Myrtha Regina delle Villi. La ballerina ne ha sottolineato, con musicalità estrema e tecnica acuminata e di lignaggio, l’algida bidimensionalità da personaggio ectoplasmatico privo di sentimento. Eloquente, profonda e drammatica, sino a suggerire un sincero trasporto la pantomima di Giada Scimemi nella parte di Berthe madre di Giselle.
Il danzatore scaligero d’origine lituana Timofej Andrijashenko ha accompagnato la Manni/Giselle (sua compagna anche nella vita) vestendo il ruolo del duca Albrecht. Gambe lunghe in grado di disegnare con anatomica precisione, in ogni direzione nello spazio, virtuosismi ed evoluzione aeree. Un viso dal lirismo luminoso, la fisicità slanciata ma tonica da eccezionale porteur e dunque esemplare nel sostenere -durante il II atto- lo spirito languido e abbandonato di Giselle.
Anche Adrijashenko ha goduto della rilettura coreografica di Bart. Albrecht che dovrebbe esser sospinto dalle Villi a morte certa con una serie infinita di entrechat six su una musica bruciante, nella detta versione invece a mezzo di alcuni ampi Saut de Basque terminati in ginocchio chiede pietà per la sua anima. Danza e recitazione che si fondono creando un continuum d’azione che non spezza la tensione emotiva.
Alla direzione dell’orchestra del Massimo Omer Meir Wellber che della partitura di Adam ha consegnato una esecuzione ricca di sfumature, degradè di piani soavi e ascensioni di forti altisonanti.
Grandi interpreti per una resa d’alta levatura; una Giselle nel solco prezioso della compianta Carla Fracci che avrebbe meritato di certo un paio di repliche in più.