Fratelli, due facce differentissime di una stessa medaglia. Due individui unici, due personalità flebili interconnesse ed interscambiabili. Nella casa prigione, messa in scena da Collovà, si dipana il “San Valentino” esasperato dei Fratelli di Samonà.
Un testo denso, un linguaggio rallentato. Un’opera narrativa che raccolse immense lodi e unanime riconoscimento imponendosi come caso editoriale del 1978. Tutto questo è Fratelli primo titolo del docente e ispanista palermitano Carmelo Samonà. Un’opera tanto osannata quanto presto abbandonata in un fondo di magazzino. A recuperarne memoria e forza evocativa il regista palermitano Claudio Collovà.
Quello di Collovà, in fondo, non è che un ritorno ai Fratelli di Samonà. Li aveva già conosciuti, scomodati, ben 19 anni fa (era il 1999). Oggi con un’intenzionalità nuova, in qualche modo divenuta affetto, ne riprende gli echi ed i tortuosi percorsi psico-fisici. Ne rinvigorisce gli amorosi asti, la brutale fratellanza.
Fratelli reclusi dentro una casa, prigione della vita nell’esistenza. Il maggiore, tra i due, colto, lucido, acuto, paterno, aguzzino. Il più giovane, costretto in uno stato d’animo senza ritorno, senza nome. Forse un ritardo mentale o una schizofrenia. Comunque una malattia, che contorce il moto e ne fa elemento di compulsiva staticità.
E’ proprio nella motricità che Collovà trova lo spunto generatore di questa sua, ritrovata, riduzione teatrale. Ne fa un compendio di cerchi concentrici, elicoidali fisiche immobili e tumultuose, andirivieni perimetrali ad infinito. Ne indica la centralità, quale polo dell’espressione a cui la parola sottostà benché fulgida di significato.
Un dito puntato verso l’alto, su un braccio teso come un fuso, convoglia su sé il desiderio di libertà – forse felicità – del fratello più giovane. Un tentativo d’evasione dall’adorna agonia imposta dalla malattia. Ma non c’è alcuna fuga nel tetto bigio, ne fede alcuna che dia sollievo.
Resta l’ossessivo reciproco rimando al sé come lontana possibilità e all’altro come forma tangibile della realtà, parti inscindibili di un uno genetico. Rimangono il gioco infantile, come condensa lieve del bene, l’Opera la fiaba e la letteratura, quali schegge d’immaginazione nell’ombra.
Ad impersonare i Fratelli gli attori Sergio Basile (il maggiore) e Nicolas Zappa (il minore). L’uno più anziano, l’altro giovane e vigoroso. Talentuosi e puntigliosi nel restituire l’irrequieto fondersi e confondersi, in consanguineità e conflittualità, dei rispettivi personaggi. Fratelli come lo yin e lo yang della filosofia cinese (di nero e bianco sono truccati i loro volti). Opposti netti e contrastanti, che roteando si intersecano immancabilmente. Basile, domatore granitico, imponente e imperturbabile. Zappa fiammeggiante corpo senza requie nelle sembianze d’uno sperduto Charlot.
Lo spazio è vessato da una quotidianità scialba, minimale e asettica. Abbracciato dal suono secco, martoriante, di un ticchettio d’orologio, dello sconquassarsi di stoviglie e d’una annotazione vocale su bobina, voce alterata di una stessa ostinata voce presistente.
La claustrofobica convivenza dei due fratelli è un unicum, riversato dentro una crudele pittorica scatola tridimensionale; qualcosa che fagocita l’emozione ed ogni umano proposito plasmando tutto ciò che è esterno come fosse un fallace costrutto bidimensionale. La battuta finale dello spettacolo giunge come un fulmine, sconquassa gli assunti iniziali dello spettatore e crea una nuova consapevolezza.
Collovà mostra estrema sensibilità nell’approcciarsi a Fratelli, ne sviluppa le peculiarità in maniera interessante e assai completa. Compone una drammaturgia intensa e spessa, benché a volte si resti sorpresi da una certa discontinuità d’enfasi.
Gli applausi della gremitissima sala Stehler presso il teatro Biondo, non mancano. Gli attori chiamano alla ribalta Collovà, che a sua volta invita in scena Enzo Venezia e Giuseppe Rizzo (rispettivamente scenografo costumista e compositore delle musiche).
Resta fuori da questo momento di gratificazione professionale, almeno secondo Collovà, la giovane aiuto regista Valentina Enea. L’unica donna del gruppo, vittima del narcisismo maschilista del nostro chef d’œuvre. Ma poco importa, a richiamare la giovane sul palco provvede, gentile e grato, l’attore Sergio Basile.
Repliche presso la sala Strehler del teatro Biondo fino a domenica 25 febbraio.