“Sono d’origine Turca, ma il mio è un cinema Italiano. Io mi sento parte della scena artistica italiana; italiano a tutti gli effetti, nonostante abbia la doppia nazionalità”. Così il regista Ferzan Ozpetek illustre e gradito ospite di due giornate all’insegna della cultura promosse dall’associazione Fiori d’Acciaio in collaborazione con l’Università di Palermo.
Una Lectio Magistralis che si tramuta in un vero e proprio talk show. Una mattinata che, superati i formalismi istituzionali dell’apertura di giovedì sera, ha lasciato al regista Ferzan Ozpetek spazio da dedicare alle curiosità di universitari, docenti ma anche cinefili, critici, giornalisti, appassionati e semplici uditori.
Ferzan Ozpetek si definisce un volitivo, un testardo. Ma è altresi un uomo gentile e aperto, uno che -cito testualmente- “nei suoi film, e nella vita in generale, ama condividere sensazioni, suggestioni, bellezze e spunti di riflessione piuttosto che elargire messaggi e insegnamenti”.
Ozpetek parla della sua vita da regista, con la voracità viva del creatore. Racconta aneddoti legati al suo personale modo di approcciarsi agli attori, persone che riempie di domande onde scrutarle a fondo prima che vadano sul set.
Rivela di raccomandare ai suoi attori di “non immergersi totalmente nel personaggio, ma di incontrarlo a metà strada nel processo creativo”.
Ricorda, giustamente, di lavorare su personaggi originali e sempre speciali (dei quali si innamora) in grado di ribaltare dall’interno gli attori in quella che è l’immagine, più o meno stereotipata, che danno solitamente al pubblico. Si fa il nome di Riccardo Scamarcio simbolo di virilità piena ma trepido e scanzonato omosessuale in “Mine Vaganti”.
Ma si diletta anche nel narrare della convivialità, delle tavolate, dei rapporti stretti e autentici che si vengono a creare tra coloro che cooperano in armonia ad un film. “Condividevamo bene il set de Le Fate Ignoranti, eravamo felici di lavorare a stretto contatto. La sera quando era il momento di tornare a casa ci intristivamo e aspettavamo con ansia di tornare a girare la mattina dopo, per godere ancora della reciproca compagnia”.
Il ritmo, sul botta e risposta, è fluido e sembra inarrestabile. L’occasione è ghiotta e nessuno sembra voler rinunciare a porre la propria domanda al grande regista. Ferzan Ozpetek ha così modo di raccontare tutte le atmosfere e le tribolazioni che dei suoi film hanno riempito genesi e messa in scena. E si sofferma sul suo approccio sensibile e concettuale al divenire della regia.
Tecnica e poetica che si incontrano, e fondendosi aggirano un ostacolo fisico creando qualcosa di assolutamente unico ed emozionante, magari fuori dai programmi. “Mi accadde sul set de La Finestra di Fronte. C’era una scena chiusa, un ballo tra Giovanna Mezzogiorno/Giovanna e Massimo Girotti/Davide. La ripresa, però, si trovava coinvolta in un problema di suono e luci legati alla conformazione della scenografia. Improvvisamente, mi si aprì dinnanzi la possibilità di una nuova lunga sequenza. La ripresa del ballo tra Giovanna e Davide per mezzo di una carrellata a ritroso, sortiva fuori dalla finestra. Riportava lui indietro nel tempo, con l’anima. Ad una festa in casa, d’inizio anni trenta…agli amici spensierati, a Simone il suo amato perduto per sempre.”
O ancora accadimenti e narrazioni esterne, estranee al set o lontane nel tempo, che fanno da eco, impressionano la stesura di una sceneggiatura, spingono istinto e fantasia ad una determinata forma o soluzione estetica. “Il nostro cameraman disse di vedere dei fantasmi in casa, questo mi diede lo spunto iniziale per Magnifica Presenza.”
“Durante le riprese de Il Bagno Turco saltarono tutte le luci a causa dell’eccessivo calore e del vapore. Concentrai la fotografia su un unica flebile luce che penetrava dall’esterno, e che colpiva di striscio una fontanella. Quell’immagine semplice e fortuita, poi, fece il giro del mondo sui cartelloni dedicati al film.”
C’è un modus operandi fisso e ampiamente condivisibile nella vita professionale di Ozpetek, è recita pressappoco così: “è necessario che nella regia una cosa negativa divenga positiva”.
Tuttavia, il rapporto del nostro ospite con la critica non può dirsi idilliaco.
Ferzan Ozpetek confessa candidamente d’esser partecipe e attento solo delle recensioni scritte dagli eminenti Canova e Mereghetti. Asserisce quindi di “snobbare” la critica giovane secondo lui veemente e spietata perché desiderosa di emergere. E di non interessarsi alla critica in generale perché, a suo giudizio, spesso inficiata da personalismi, soggettività, umori e perché no improvvisazioni. Una visione del mondo critico a sua volta abbastanza egocentrica e autoreferenziale. Ma nessuno è perfetto.
Ozpetek rivela, infine, di essere stato chiamato da Luca Guadagnino per la regia di “Chiamami col tuo nome”. Pare che il regista palermitano fosse deciso solamente a produrre la pellicola. Tuttavia il nostro ha rifiutato l’ingaggio, e ad oggi si congratula con il collega per la splendida opera realizzata e per il successo mondiale ottenuto.