Una produzione d’ampio respiro e somma ambizione per il teatro Biondo di Palermo, ma il Fellini Dream (scritto e diretto da Pellisari) non convince ne rapisce. Resta lì, a cavallo di una felice intuizione purtroppo abortita, incompiuto malgrado gli sforzi creativi.
Un sogno felliniano d’altri tempi, d’impronta mistica e surreale, da cui il pubblico, purtroppo, resta fuori. Uno spettacolo dalla creatività spinta e composita, che però risulta incompleto, irrisolto, rallentato nella restituzione delle emozioni, soporifero e privo di enfasi. Il Fellini Dream, scritto e diretto da Emiliano Pellisari e prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, si incaglia e non si evolve né di senso né di significato. In realtà l’intuizione è felice, gravida d’una visione performativa riccamente immaginifica ed una propensione testuale onirica e dotta. Il costrutto promettente, però, nella concretezza scenica abortisce ogni buon intento.
La causa è forse da rintracciarsi nell’ispirazione di partenza, il soggetto della mai realizzata pellicola felliniana “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet”, sconosciuta ai più e scelto a discapito di tanto altro materiale ben più iconico, e sicuramente più ficcante. O forse nel riadattamento dell’idea di base, propria alla stesso soggetto, forgiata in una chiave tanto libera, ibrida di citazioni ed estrosa quanto disordinata, informe, scomposta, ambigua e priva di una meta.
Fellini Dream consta, di due atti concavi, divorati dalla spasmodica ricerca di una quadratura logica del non sense. Quella insuperabile chiave stilistica che diede il giusto prestigio al lavoro del Fellini.
Lo spettacolo è cosparso di una testualità intermittente e spezzettata, quando non proprio amorfa, nell’espressione, nel messaggio e nell’incisività. Nonostante egregiamente agganciate all’indovinata attorialità di matrice felliniana delle interpretazioni di Graziano Piazza (candido Pierrot giganteggiante) e Martina Consolo (solenne Papessa), l’insieme delle parole profuse dal testo non sorprende, ne spiazza. Si poggia piuttosto, permanendo orizzontale.
All’orizzontalità della scrittura è sacrificata finanche, quasi totalmente, la cifra stilistica fluttuante e verticale dei magnifici ballerini ingaggiati ad hoc dalla No Gravity Dance Company. I valentissimi e leggiadri 5 corifei dipingono come possono deliziosi e intensi tableau vivant, assemblano e forgiano momenti oscuri, divertenti e delicati ma restano come staccati ( o peggio in sovrannumero) da quel sovrabbondare, talvolta irritante, che è la tentata narrazione. Soffocati nella troppa luce e nello svelamento dell’illusione, usati come accessorio di completamento o di decoro. Da gridare allo scandalo!
L’attrice Viola Graziosi, potrebbe essere l’immagine fantasmagorica di una trapassata, o la rifrazione fisica di una inconscia veggente, così come Alice nel paese delle meraviglie. Non si evince, sembra che il suo ruolo nell’economia dello spettacolo debba deciderlo il pubblico. La regia, tuttavia, non si esime dall’esporne sulla ribalta l’avvenente e luminosa fisicità, in pose dalle fogge languide e sensuali. Scelta ingiustamente riduttiva per una buona attrice.
Fellini Dream è uno spettacolo senza grandeur, con pochissimi sprazzi di oggettiva e generosa godibilità (per lo più coreutici), privo di solido mordente, incapace di coinvolgere risolutamente. Al pubblico stranito, non estasiato, dubbioso anziché no, non resta che applaudire.