Ogni cosa può generare luce allorquando riesca a comunicarci speranza, ci rubi un sorriso o inspiri in noi una serafica felicità. Every Brilliant Thing, letteralmente ogni cosa brillante, il testo di Duncan Macmillan al teatro studio Melato di Milano.
Una lista di cose amate, per le quali vale la pena vivere, è quella che inizia a comporre il giovane Philip (nome estemporaneo attribuito al protagonista auto-diegetico, dall’attore Filippo Nigro) all’età di soli 7 anni, nel novembre 1977. Il gelato, il colore giallo, restare sveglio fino a tardi la sera, le montagne russe qualsiasi ragionevole argomento onde sopravvivere ad un improvviso, incomprensibile dolore. Every Brilliant Thing per l’appunto.
Philip conosce il dramma, senza requie, del tentato suicidio della madre. L’esistenza della donna diviene un angolo sdrucito del suo vivere. La lunga lista delle cose per cui vale la pena vivere è la sua risposta resiliente, la toppa, il tentato rammendo di quanto si trova a dover fronteggiare.
Macmillan compone un monologo dall’andatura leggiadra e struggente, privo però di patetismo. Materiale drammaturgico duttile per un attore come Filippo Nigro, dotato d’una spiccata spontaneità multiforme.
Tale monologo non è poi che un racconto condiviso; uno di quei rari esempi teatrali in cui vita e scena divengono un tutt’uno. Un testo d’interazione tra pubblico e attore, nel solco d’una co-interpretazione empatica, a luci accese, sullo stesso piano scenico (lo studio Melato del Piccolo ben si confà a tale scopo). La regia fluisce libera da sovrastrutture, la scena è scarna (scatoloni pieni delle cose su cui la lista è appuntata). Tutto è in divenire.
Filippo Nigro conduce con vigore serio e sublime, a tratti informale e comico, l’intero inter monodico del suo personaggio; da concretamente voce al suo pensiero, alla sua dirompente quotidiana interiorità. Il risultato attoriale è permeato da grande naturalezza e amalgama alcuni distinti signori, signore, ragazze e ragazzi del pubblico, valenti inconsapevoli coprotagonisti seduti tra noi.
Philip trascorre la vita nel grigiore d’una madre che, come nel titolo di una nota canzone di Ray Charles, affoga nelle sue stesse lacrime. L’inarrestabile percorso nel dolore della donna sembra sovrapporsi a quello del ragazzo e il suicidio da depressione diviene, nel testo, quasi materia da studio universitario.
Sospinto dalla lettura de I dolori del giovane Werther di Goethe (che si conclude con la morte suicida del giovane) si giunge al decalogo di regole per la stampa e i media, in merito al suicido, redatto dal gruppo Samaritans (affinché il racconto di tale morte non divenga “contagioso” ed emulabile). Figlio e madre costruiscono su tale perpetrata mestizia un dialogo muto, fatto di incomprensioni, aborti del desiderio ed inquietanti immotivati scrosci di risa.
Una agonia palpitante che scorre placida e tumultuosa di fianco alla vita stessa del protagonista, mentre la lista degli Every Brilliant Thing si allunga ed amplia “i dischi, i maialini, i gatti amichevoli, l’alfabeto, il canto degli uccellini, i raggi del sole, la cioccolata, le parole palindrome, innamorarsi, il sesso, la voce di Nina Simone”.
Philips conosce l’amore, tenero e buffo, per Sam (una giovane – si scopre a fine spettacolo: aspirante attrice- chiamata dalla platea e incredibilmente, immediatamente, calata nel ruolo). L’interazione sofferta del giovane con la depressione sembra allora arrestarsi, interrompersi. In realtà è l’ennesimo passaggio fittizio. Il male di vivere, l’arrendersi di sua madre al morire, sono l’ennesimo squarcio alla vita. Un dolore profondo che tuttavia non resta immutato ne privo di senso.
“Se vivi tanto a lungo e arrivi alla fine dei tuoi giorni senza esserti mai sentito totalmente schiacciato, almeno una volta, dalla depressione, beh, allora vuol dire che non sei stato molto attento!” è la battuta chiave, snodo significativo del testo drammaturgico di Macmillan. Prendere coscienza della propria fragilità, del proprio recondito dolore, viverlo con consapevolezza e con la stessa aver cura di sé, esternare, chiedere aiuto ad uno specialista, capire. Per Philip ciò diventa la base essenziale di quella lista di Every Brilliant Thing che tocca la sensibilità di molti, tutti gli altri, l’intero pubblico astante.
E la lista, dapprima ingenua, può allungarsi ed ampliarsi all’infinto, se solo ognuno volesse e credesse giusto scrivervi qualcosa. È il fondo di verità, la speranza, il fine luminoso, ultimo ed eterno della nostra umana natura. Una rinnovata ricerca della felicità.
In scena al teatro Studio Melato fino al 1° giugno 2024.