Lo spettacolo estivo della danza, offerto dal Teatro Massimo, ha visto il ritorno alla scene palermitane dell’ esimio coreografo russo Micha van Hoecke. In palcoscenico il corpo di ballo del teatro Massimo tra fantasmagorie, surrealismo e vagheggiamenti, sulle note dei Pink Floyd e versi dei Carmina Burana.
Luglio in danza, per il teatro Massimo, nella suggestiva cornice a cielo aperto del Teatro di Verdura. Van per le scene i Pink Floyd e i Carmina Burana. Astri d’arte, in musica e versi, tra loro lontani anni luce. Essenze artistiche che il creativo Micha van Hoecke cattura, restituendone caratteri, opposti ed opportunità in corpo, mimica e danza.
Pink Floyd e Carmina Burana due atti unici, che convivono nella temperanza passionale del multiforme estro di van Hoecke, ma mai si mescolano. Due antipodi per una volta vicini.
La serata si apre con il coreo-dramma Atom Heart Mother. Nella bruma rock progressive sinfonica dell’omonimo celebre album dei Pink Floyd si addizionano traumi personali e ribellioni sociali.
Un lavoro pellegrino, questo primo estratto rocker del van Hoecke. Concettualmente un concatenarsi di irrisolto e disperato. Con la dedica manifesta del coreografo a Marina, sua sorella gemella -anche lei insegnante di danza- scomparsa quest’anno nonché nella narrazione, per immagini stereotipate e controtendenza, degli eventi inesorabili,impetuosi e sfacciati che caratterizzarono gli anni ’70. Colpo e contraccolpo, che nel corpus coreografico si fanno scevri di uniformità, ma comunque evocativi e personali.
La scena si apre con il vorticoso vocalizzo muliebre dalla song The Great Gig in the Sky, è il lamento funebre d’una madre affranta. Nella dolente performance vocale di Roberta Sasso, il salto all’indietro nei luoghi reconditi dell’umana sofferenza di van Hoecke.
Il balletto, poi, si profonde in omaggi alla grande danza d’autore. Con l’espressionismo fluido di ballerine in sottoveste, van Hoecke fa il baciamo a Pina Baush. Nella figura infantile e briosa del Clown (un giocoso Giuseppe Bonanno) ed in quella truce e oscura dell’Ombra -l’inesplicabile della vita- (un sadico Andrea Mocciardini) rifulge l’atmosfera lirica e sui generis di Maurice Bejart. La bellezza eburnea e aitante del danzatore Vincenzo Carpino , nella sua gonna kimono di juta grigia, è racchiusa in un assolo maestoso e circolare che cita Martha Graham.
Metamorfosi della giovinezza, eleganza ed energia di Micha e della sorella Marina, due punte di diamante del corpo di ballo, Michele Morelli e Yuriko Nishihara. Versatili, puntuti e completi come danzatori di William Forsythe.
Nel ruolo laconico e stilizzato del padre l’etoile francese Denis Genio. Deus ex machina e angelo della morte, nella sua figura teatrale fluttuante coriacea e feroce, sembra perdersi finanche la linearità dell’ispirazione. Si precipita nel magma surrealista degli hoverboard, sui quali “planano” i danzatori come spiriti irrequieti del tempo.
Sull’altra faccia della luna, i Carmina Burana. Coreograficamente un Tableau vivant vivido e sfavillante della cultura allegorica medioevale. Ineccepibile il coro del teatro Massimo, capace di modellare un tappeto canoro, talmente armonico, pastoso e caleidoscopico, da sembrare registrato.
Carmina Burana, è da considerarsi il più felice e riuscito tra i due atti unici dello spettacolo. Nell’economia degli antichi canti latini, le danze di van Hoecke si vanno ad inserire puntuali, in fogge ardimentose e leggiadre.
Nella personificazione della Fortuna “Imperatrix Mundi” una impietosa dama dal cappello nero (Francesca Riccardi) che si muove sinuosa e altera, senza guardare in faccia alcuno. Imperiosi e strabilianti, i di lei vertiginosi dévelloppé de jambe alla seconda. Ad accompagnarla, porter e suo perfetto riflesso al maschile, ancora il vigoroso Vincenzo Carpino.
Superbo, ancora Michele Morelli, nell’incarnazione del vento Zefiro. Nella tecnica accademica del danzatore si può notare un sempre più millimetrico disegno dei grandi salti congiunto ad una ancor più accentuata levità.
Tintillante, vaporosa e allo stesso tempo sensuale e sublime, nel suo costume di piume, Simona Filippone nel ruolo del cigno. La sua, tuttavia, è una parte privata del valore aggiunto che le sarebbe stato conferito dalle scarpette da punta.
Impeccabile l’unisono geometrico dell’ensemble maschile nei canti “In taberna”. Braccia d’acciaio, per la Tanz di Riccardo Riccio, nella sua ritmica entrée in plank. La Venere di Carmen Marcuccio, nel suo apparire alla ribalta in pose plastiche da statua greca, rimembra il performare estetizzante e divistico alla Lady Hamilton.
Emozionante ed elegiaca la ragazza triste di Elisa Arnone, con la sua gestualità longilinea, materna e morbida sul dolcissimo e musicale coro delle voci bianche. Scintillante la grazia classica di Giorgia Leonardi, sfolgorante rubino Rosso.
L’intero corpo di ballo, in realtà, mostra di aver compreso e assimilato il senso recondito, compiuto ed ineguagliabile dei Carmina Burana.
C’è una adeguata fusione d’intenti e poetica, tra corpi e coreografia cosi come tra coreografia e canto. Merito anche dell’empatia creativa di artisti ospiti come il tenore Bogdan Baciu e la soprano Hasmik Torosyan.
Non può dirsi lo stesso per il controtenore Yaniv D’Or, voce acuta e squillante simile a quella di un castrato, indubbiamente rara ma senza anima ne incanto. Qualcosa che non rapisce, ma resta mera esecuzione e quando eccede ricalca il falsetto e infastidisce.
A restituire le note maliarde e mimetiche dei Pink Floyd la cover band siciliana Inside Out. Impeccabile la direzione d’orchestra, nei Carmina Burana, del maestro Aziz Shokhakimov. Magnificenza e glamour nei costumi firmati Emanuel Ungaro per Carmina Burana; forza narrativa nelle mise di Antonella Quartaroli per Pink Floyd.
Sul palcoscenico il 25° compleanno della ballerina Yuriko Nishihara. Lunghi e fragorosi applausi, ben 7 minuti, per l’anziano ma sempre arzillo van Hoecke chiamato alla ribalta. Apprezzamenti per l’ottima produzione del teatro Massimo, benché costretta in una sola serata.
fotografie di Rosellina Garbo.