Considerazioni, condivisioni e critiche sulle due tragedie greche a Siracusa nel 54° Festival. Si scontrano, in seno all’orchestra, Sofocle col Edipo a Colono ed Euripide con Eracle. Il 29 giugno subentrerà loro, Aristofane, con la commedia I Cavalieri.
Un match teatrale, che si potrebbe definire epico, ha animato il 54° ciclo di rappresentazioni classiche (nei mesi di maggio e giugno, come di consuetudine dedicati alla tragedia) presso il teatro greco. Ad alternarsi nelle due tragedie greche a Siracusa, strenui nel rivendicare la reciproca diversità poetica e concettuale, il solenne Sofocle con Edipo a Colono e il protoromantico Euripide con Eracle.
Ad acuire tale diversità, le traduzioni e le regie scelte per le rispettive messe in scena. L’Edipo a Colono granitico di neutralità raziocinante, per la traduzione del filologo veronese Federico Condello, è stato inserito nella regia seriosa asciutta eppur mistica del regista greco Yannis Kokkos. Eracle invece ha visto la traduzione, lirica e partecipata, del filologo e letterato Giorgio Ieranò ritagliarsi un interstizio nell’impeto luttuoso, vorticoso e sanguinolento della regia firmata da Emma Dante.
Due mondi lontani, come la luna e il pianeta Marte, quelli delle due tragedie greche a Siracusa. Edipo a Colono risulta evanescente, intellettuale. Un’acuta signora del pubblico lo definirà, a ragione, “eccessivamente sobrio”.
L’anziano Edipo esule mendico e cieco appare, nell’interpretazione compita ed elegiaca di Massimo De Francovich, come un uomo ben cosciente dell’infausto ineluttabile che trascina la sua esistenza. Ne descrive le brutture commesse (parricidio e incesto) con un reiterato “involontariamente”. Dell’ultimo giorno di vita, sembra affrontare le ore, con concretezza, rigore, per non dire praticità. C’è la freddezza, decisa e consapevole, del fato nonché di un proprio personalissimo volere.
Yannis Kokkos sposa il testo di Sofocle nella sua integrità, facendone materia scenico performativa d’impronta cristologica. In tal senso il bosco sacro agli Dei, entro cui Edipo svanisce (disceso agli inferi? Asceso al cielo?) si nasconde dietro l’entrata di un sepolcro, scolpito su una roccia ricurva simile alla schiena di un vecchio. Parimenti si modellerà, salvifico, il rito di purificazione, con l’acqua dei sacri ruscelli il miele e il ramoscello d’ulivo, a cui si offrirà di procedere, nelle veci di Edipo, la dolce ed affezionata figlia Ismene (Eleonora De Luca). Momenti di pura sacralità che si concretizzeranno nel messaggero, e nel suo etereo narrare il dissolversi miracoloso e spaventoso di Edipo nel bosco.
Pathos ed emozioni rarefatte ed intermittenti. Scossoni emotivi relegati sulla figlia Antigone – l’attrice Roberta Caronia – pio bastone dell’anziano padre e già edotto cuore di ciò che sarà la sua miserrima fine. Una catarsi che scivola via senza manifestarsi a pieno, pur su quella terribile battuta “Io sputo su di te” che Edipo pronuncia abbracciando, ellittico, il figlio Polinice (un teso e contrastato Fabrizio Falco) bramoso di potere piuttosto che dell’affetto paterno.
L’Eracle di Emma Dante, al contrario, avvince il pubblico, lo scuote emotivamente, se ne contende e ne stuzzica il giudizio.
L’Eracle di Euripide, nell’idea creativa di Emma Dante, dipana il suo aplomb furente e funereo scagliando i suoi personaggi in un gioco delle parti sadico, angoscioso e inclemente. La città di Tebe, ove si svolge l’azione, viene pensata dallo scenografo Carmine Maringola come un imponente cimitero monumentale. Il luogo in cui i vivi, spirando e decomponendosi, lasciano sempre più spazio alla desolazione della morte e alla flora (unico sospiro di colore).
Nel costruire il suo eroe, Eracle indomito, Emma Dante si fa guidare dagli sguardi di coloro che, nel testo della tragedia, parlano e anelano di lui. La costruzione del protagonista sulla scena, prima che esso compaia. Figlio diletto benché bastardo (frutto dei capricci sessuali di Zeus con la regina Alcmena) per il vecchio Anfitrione. L’infermo, su una sedia a rotelle, calato nella cadenza e cantilena pregna di colore e saggezza popolare da una impeccabile Serena Barone.
L’uomo amato, il padre giusto, l’eroe indubbio per l’intensa e disperata principessa Megara nelle membra della bellissima attrice Naike Anna Silipo. Eroe illuso dalle sue stesse imprese, che in esse ha perduto se medesimo e ogni cosa cara. Questo Eracle per il tiranno sopraffattore Lico, nell’interpretazione tanto impietosa quanto mascolina (nella voce roca e nella camminata baldanzosa) dell’attrice Patricia Zanco. Fiammanti e bestiali, sono le tre furie danzanti che accompagnano Lico, le danzatrici Sabrina Vicari, Mariella Celia, Silvia Giuffré.
Quando finalmente Eracle varca il palcoscenico, il suo personaggio quasi si annichilisce. Egli, viso stravolto sotto una chioma esaltata, lascia che avvampi la fiamma nera del lutto. Uccide Lico, ed il suo canto di vittoria si condensa in ciò che sarà l’amarezza del futuro. La danza Serpentina di Loïe Fuller, con i suoi lunghi veli fluttuanti e roteanti in allongé, descrive tutto ciò nella performance esplosiva e vibrante della danzatrice Silvia Giuffré.
Crogiolandosi nella violenza e nella vendetta, Eracle si lascia invasare dalle dee moleste della rabbia Iris e Lyssa. Messaggere di sventura della Dea Era, moglie di Zeus e nemica dell’eroe. Esse indossano coriacee armature ed elmi a maschera, le braccia lunghe e ricurve nelle protesi simili a zampe di scarafaggio. Si muovono sinuose e disequilibrate su una martellante musica tecno. Hanno voci acute, da faine, sono le attrici Francesca Laviosa e Arianna Pozzoli. Una nota di merito va ai costumi maestosi ed evocativi di Vanessa Sannino.
Distruzione porta distruzione, Eracle si coprirà del male supremo. Confuso, ipnotizzato, calato in un incubo ad occhi aperti, consegnerà al regno dei morti moglie e figli. A fermare la sua mano omicida l’intervento della dea Atena, che gli scaglia una pietra nel petto. Da quel momento Eracle vestirà i panni d’una dolente, irreversibile, lucidità. Cadrà sconsolato sotto il peso delle sue azioni, piangerà a dirotto, si farà addolorato anche dinnanzi all’amico fraterno Teseo (la compatta e presente Carlotta Viscovo), venuto a sostenerlo. I due uomini si troveranno, nei virili gesti di reciprocità, non dissimili da personaggi virtuali e guizzanti d’un video game.
Eracle, tuttavia continuerà a lamentare, inconsolabile e drammatico, il destino di morte che lo ha vinto. Mentre il coro dei vecchi tebani (unici maschi in scena), dallo sguardo ghignante e vitreo e il capo di teschio, compie le estreme esequie di Megara e dei figli. Si compongono i corpi delle vittime come un sentiero d’orrore, l’ennesimo verso la città dei caduti di Tebe.
Teseo rimprovererà Eracle “Se qualcuno ti vedesse adesso, riderebbe di te. Ti comporti da donna”. La Dante taglia il testo, giunta a questa battuta. La catarsi, che nelle esequie ha toccato l’apice, lapidaria chiude da sé la scena recriminando sul dolore dell’eroe.
Fa sibilare in molti, impreparati e bacchettoni, la scelta di un cast esclusivamente al femminile.
“Lui/Lei” echeggia canzonatoria una voce femminile, tra le tante levatesi a fine spettacolo, in riferimento all’energica e animosa attrice Mariagiulia Colace impegnata nel ruolo di Eracle. Spesso la genialità non sembra essere immediatamente visibile agli occhi. Nell’antica Grecia l’arte del recitare (in qualsivoglia ruolo) era riservata ai soli uomini. Emma Dante rielabora questo arcaico retaggio riscoprendo la sensibilità profonda di Eracle e lasciandogli la possibilità di esprimersi nelle carni di una donna.
L’Eracle di Emma Dante stupisce, disorienta, ma alla fine trionfa. Convince, piace, resta impresso. Viene applaudito. Insomma, eccelle.
Dal 29 giugno al 8 luglio sarà in scena la commedia I Cavalieri di Aristofane con la regia di Giampiero Solari.
Fotografie di Gianluigi Carnera, Franca Centaro e Maria Pia Ballarino.