Dirty Dancing, trascinante spettacolo musicale che riprende le fila dell’omonimo indimenticabile film, giunge finalmente a Palermo. Lo abbiamo visto e recensito per voi.
Era il 1987 quando sui grandi schermi del mondo debuttava il film Dirty Dancing. La regia era di Emile Ardolino, nei ruoli principali rifulgevano il biondo attore e ballerino Patrick Swayze e la solare Jennifer Grey. Impersonavano, rispettivamente, il focoso insegnante di ballo Johnny Castle e la trepida adolescente in vacanza Frances Houseman detta Baby. Il film fu vincitore di un Golden Globe. La canzone “The time of my Life”, facente parte della colonna sonora, si aggiudicò l’Oscar per la miglior canzone. Nasceva il Mito Dirty Dancing.
Nel 2004 il film è stato adattato in chiave di musical col titolo Dirty Dancing: The Classic Story on Stage per i teatri londinesi.
E’ seguita una tournée di grande successo in Germania, Messico, Lussemburgo, Spagna, Monte Carlo, Austria. Finalmente nel 2014 lo spettacolo è giunto anche in Italia, registrando incassi da record presso il teatro Nazionale di Milano.
Si è dovuto attendere il trentennale della pellicola, ovvero il 2017 più due mesi ancora, perché Dirty Dancing: The Classic Story on Stage raggiungesse finalmente anche la Sicilia.
Ed eccoci qui, nella fredda serata del 28 febbraio 2018, presso il teatro Al Massimo di Palermo (detto anche il Massimino) riscaldandoci al fuoco allegro dei balli proibiti di Dirty Dancing.
L’edizione 2017-2018 del musical Dirty Dancing è firmata dal regista Federico Bellone, già alla guida dell’ingente produzione teatrale a livello internazionale dal 2015. A supervisionare la scelta dei membri del cast Eleanor Bergstein, autrice dello stesso film e della sua riduzione live. Si assiste dunque ad uno spettacolo musicale molto fedele al suo progenitore su pellicola. Una messa in scena familiare, e per questo di rara subitanea empatia.
Del resto, a detta dello stesso regista, “Dirty Dancing è uno di quegli spettacoli in grado di portare dinnanzi ad un sipario, persone che magari non vi si sono mai trovate”. Non stupisce, dunque, ritrovarvi la forza pedissequa di battute e dialoghi pensati per colpire nel segno e lasciarsi ricordare con immutata emozione.
Le coreografie, furoreggianti nel loro pelvico fisico vigore, sembrano appositamente pensate onde adornare di fascinazione le nostre fantasie. La danza in questo spettacolo del resto regna sovrana, tra mambo, salsa, foxtrot, bachata, cha-cha-cha e acrobatismi da Rock’n Roll.
Le musiche sono assemblate per far da eco fastoso a desideri latenti, esaudibili ed esauditi. Lo spettacolo dovrebbe procedere, senza intoppi o scambi, dritto fino al gran finale.
In vero, tra I e II atto si nota un cambiamento di toni e argomenti. Prima dell’intervallo, il progredire della vicenda è tutto incentrato sull’azione, sul fare e divenire fisico, comportamentale e coreutico dei personaggi. Il secondo tempo, invece, si caratterizza per l’affondo psicologico sui protagonisti in una selva di sentimentalismi corporei, solitarie riflessioni, delusioni, confronti e rivelazioni.
Proprio il I atto, dopotutto, palesa alcune pecche e limiti del Dirty Dancing teatralizzato. Il problema risiede nel multiforme agire e interagire dei personaggi, il loro vissuto, immerso in una continua pluralità d’ambientazioni. Passaggi narrativi trasversali e repentini, nel film coadiuvati dal montaggio, sul palcoscenico denotano un qual certo scollamento. Ciò si verifica nonostante intervengano scenografie d’ambiente roteanti, video e diapositive da realtà aumentata e luci stroboscopiche.
Tale vizio di forma viene totalmente superato, tuttavia, nel II atto, quando il percorso intimo dei personaggi si fa preminente. Ivi si convoglia l’attenzione sui moti dell’anima, ed essi si amalgamano fluidi alla colonna sonora alla danza e alla recitazione.
Scene cult del film, restano a teatro immutate, iconiche e sempre affascinanti. Realizzazioni tridimensionali, carnali, di sogni romantici ed erotici facenti parte del mondo dorato e astrale della cellulosa. Immancabile la Hit “Hungry Eyes”, che vede le prime ricche lezioni di ballo impartite da Johnny a Baby. E ben lecito chiedersi, poi, perché un ballerino professionista come Castle accetti, in vista di un’occasione ufficiale, che una goffa neofita della danza rimpiazzi la sua splendida partner di ballo. Misteri e prodigi di una sceneggiatura centrata, oggi come nell’87.
Emulo della nota sequenza del film, l’amoreggiare sinuoso e malizioso par terre di Johnny e Baby sulle note di “Love is strange”.
Nel ruolo di Johnny e Baby gli attori danzatori Giuseppe Verzicco e Sara Santostasi.
Lui capelli neri, viso appuntito e fisico atletico, braccia esili ma toniche, fondoschiena tornito ed un pettorale aperto ed imponente (sede di quel cuore, il cui battito da il tempo alle danze di Baby).
Lei viso tondo e sguardo ingenuo, chioma riccioluta (al pari della Grey del film), uno scricciolo d’enfasi e stupore. Alle indubbie doti di guizzante e saldo ballerino sfoggiate da Verzicco, si sono affiancate efficaci le proprietà da carattere e caratterista della Santostasi.
Tra le punte di diamante del cast, l’avvenente biondissima e longilinea Federica Capra nel ruolo della maestra di ballo Penny. Ballerina versatile e talentuosa, forte di tecnica classica, la Capra ha stupito il pubblico per la destrezza slanciata delle gambe, valore estetico d’una ben più profonda e maturata apertura d’anche. La ballerina ha, inoltre, destato unanime ammirazione per la recitazione convincente sul registro melanconico, drammatico. Esilarante e spumeggiante la Lisa Houseman (sorela di Baby) dell’attrice e perfetta umorista Claudia Cecchini. Rimembrante in movenze ed espressioni, la collega cinematografica Sabrina Impacciatore.
Tra le migliori voci in scena, quella vorace soul e penetrante di Loredana Fadda (magnifica nell’interpretazione della song “This magic moment” che avvia lo spettacolo) e quella black e pastosa di Russel Russel. Una parentesi a parte la si apra per Samuel Cavallo, nel ruolo dell’animatore Billy Kostecki. L’attore, oltre ad aver reso oltremodo simpatico amabile e trascinante il suo personaggio, ha poi sfoderato una potente e calorosa voce muscolare. Impegnata nella song “In the still of the night” (con acuto finale) e nella attesissima “The time of my life”.
Il gran finale, esplode letteralmente con l’amore liberatorio, con il sesso. Con l’idolatrata “The time of my life” che pacifica le umane traversie, riequilibra le disparità sociali, vola alta e coraggiosa come un angelo. Con Baby sollevata e sorretta da Johnny nella presa denominata “volo dell’angelo“. In quell’atto etereo, e allo stesso tempo audace ed indomito, probabilmente risiede il peso leggerissimo di Dirty Dancing. Liberi di essere, liberi d’amare, sempre con ardimento.