Michele di Stefano ed Enzo Cosimi, due tra i massimi rappresentanti della danza contemporanea d’autore, ospiti illustri del Festival Conformazioni 2022.
Due personalità creative e concettuali tanto dirompenti e appassionate quanto diametralmente opposte. Michele Di Stefano ed Enzo Cosimi, sono gli ospiti di punta del Festival Conformazioni 2022. Sulle scene dell’evento palermitano, sotto l’attenta e puntuale direzione artistica del danzatore e coreografo Giuseppe Muscarello, esibiscono due esempi emblematici del loro estro.
Bermudas di Michele Di Stefano, è prodotto dal gruppo mk in collaborazione con Bolzano Danza. Costruzione propriamente coreografica, atleticamente intensa, visivamente ipnotica, essa è pensata -secondo l’intento stesso del Di Stefano- per essere affrontata da “un numero variabile di danzatori intercambiabili tra loro”. Bermudas debutta nel 2018 e viene premiato da Danza&Danza come miglior produzione italiana nello stesso anno.
Una gestualità quadripartita. Spiegata al pubblico dagli stessi danzatori, a voce, in una schematica introduzione.
Due braccia tese all’infuori: Largo. Le medesime braccia protratte in un moto ondoso: Lungo. Mani che abbracciano i gomiti, formando una U che dondola in basso: Lato. Braccia che da una alta posizione di corona, si chiudono verso il basso inanellando mano destra su mano sinistra: rovescio. Un alfabeto di base conferito ad una determinata posa o forma di movimento.
Una descrizione iniziale che, amalgamandosi ad un moto continuo quasi ossessivo, talvolta concentrico, si dilata in progressive multiformi declinazioni coreutiche. Una composizione che si arricchisce con naturale continuità, come un vocabolario quando è investito da nuovi termini e nuove diciture. O meglio ancora come la memoria fa allorquando apprende, immagazzina e riutilizza una nuova informazione da uno stimolo sensoriale.
I danzatori inoltre entrano in scena e corrompono il codificato, lo spaccano, lo mutano facendone grafismo, espressionismo, manifestazione relazionale d’energia, o anche sorprendente virtuosismo. Bermudas finisce con il delineare, in uno spazio bianco, un complesso che si potrebbe definire ballettistico, tuttavia avvinto da una ardente peculiarità tutta fisica manifestantesi in composizione e scomposizione, logicità ed illogicità, bidimensionalità e tridimensionalità, spinte uguali e contrarie.
Il finale consegna al pubblico il rosso fiammeggiante di un faro che, in una progressiva penombra, restituisce agli occhi ombre e profili d’un unico sincronico cosmo generatore.
Di diversa concezione il Bastard Sunday di Enzo Cosimi, quadro di teatro-danza dalla potente pervasività narrativa.
Il Bastard Sunday del titolo è il 2 Novemdre del 1975. La domenica della festività in memoria dei defunti nonché la mattina in cui, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, fu ritrovato il cadavere del poeta, regista ed intellettuale Pier Paolo Pasolini. Enzo Cosimi rilegge quell’evento tragico e insensato, ne fa materia duttile, di indagine ed interpretazione.
Preludio al dipanarsi del coreo-dramma la registrazione audio (dalla grana sporca) della voce di Pino Pelosi, l’uomo accusato dell’assassinio di Pasolini. Uno sprazzo di realtà, quella di vita, di cui Pasolini interrogava le peculiarità, il marcio ed i rituali. L’atmosfera sulla scena diviene poi livida e oscura. Un limbo, senza orientamento alcuno, in cui l’anima di Pasolini è immersa e tormenta, da lampade rosse evocanti le temperature arroventate di un forno.
Un’anima duale questa del Poeta, compendio e contrasto, di maschile e femminile. Un’anima senza l’identità del corpo (quello fiero e viscerale del Pier Paolo, di cui il mondo aveva fatto esperienza) in cui ha dimorato.
Sesso femminile luminoso e sensuale e corpo femminile elastico, plasmabile, mosso a piacimento, sbattuto anche, come appartenesse ad una bambola. Un femminile a cui la danzatrice Alice Raffaelli, con indomita dedizione all’arte di Cosimi, si abbandona e sacrifica. Pasolini al femminile, dunque, corroso da un desiderio costante ma inespresso, pubblicamente e massivamente erotico. La Raffaelli resta nuda per un intero angoscioso assolo, protendendosi in figure dalla poetica respingente e violenta, prive di malia. La danzatrice da accovacciata si porta il piede sulla testa e in posizione eretta congiunge le due mani, le braccia stese da una parte e dall’altra del tronco, nell’angolo tra l’inguine, la vagina e l’ano.
Sesso maschile, al contempo, quello attoriale di Luca Della Corte. Veemente e provocatorio, la testa nascosta sotto un accentuato trucco nero, solo le orecchie ed il naso truccate in bianco. Maschio semovente, tirannico osservatore, impietoso burattinaio. Struttura muscolare dalla dialettica politica, che però resta afono e dunque inascoltato. Ego d’involucro, confine e dunque superfice. Un idea costretta e allo stesso tempo nerboruta, che il performer restituisce compiutamente, ancor più se diretto sulla danzatrice.
La musica elettronica del compositore berlinese Robert Lippok brucia e distorce la fruizione dell’intero quadro. Contribuisce alla resa impattante, di volta in volta persino lancinante.
Non v’è respiro, non si diluisce l’enfasi ne si affievolisce la crudeltà. Il finale vede la Raffaelli in decollete bianche dai tacchi vertiginosi, il corpo longilineo da Venere dipinto d’una pittura nera simile a crema di cioccolato, dalle stesse mani del Della Corte, ed esibito su un piedistallo. Un immagine che appare d’arte ma cela e svela la finale decadenza del secolo scorso. Ancora una volta l’anima femminea del Pasolini, castrata, vittima e prostituita (come una donna nigeriana sulla strada) al pubblico.