Un Gran Gala, Danza d’Autore…Bolero, per dar il giusto lustro al corpo di Ballo del teatro Massimo di Palermo. Spettacolo composito ove, al linguaggio coreutico contemporaneo, suggestivo ed eloquente, il repertorio classico fa da esaltante cornice barocca.
Non di sola danza classica si vive, quantunque essa sia sempre grandiosa e amabile. Ma di linguaggio contemporaneo si può riempire la scena, con intelletto e cuore. Così potrebbe esser riassunto Danza d’Autore… Bolero, eclettico Gala pensato da Marco Bellone (direttore artistico del corpo di ballo del teatro Massimo) per la stagione estiva al teatro all’aperto di Verdura.
Uno spettacolo per appassionati, che invero si lascia comprendere e appassiona. Con la danza, regina, su un palcoscenico pensato essenzialmente per celebrarla. Ed è triste non aver scorto, tra il pubblico (nettamente a metà tra over e giovanissimi), buona parte della Palermo del settore che solitamente gremisce tali eventi.
Una serata d’arte che tuttavia, prima di aprirsi, ha visto dalla platea la lettura di un coraggioso comunicato del sindacato dei danzatori e delle maestranze. Forte si è alzato l’urlo di tutti gli impiegati del Massimo, contro recenti leggi del ministero ai beni e le attività culturali che, ancora una volta, declassano, costringono, lo spettacolo dal vivo a mero espediente effimero e ricreativo, privandolo della sua preminente caratura culturale. Ciò, ovviamente, si traduce in erogazione di fondi sempre più esigui, che danno seguito a cartelloni via via più scarni e all’immonda pratica del precariato.
L’appoggio del pubblico appare sin da subito difforme. L’applauso dei più è convinto e di real sostegno. Ma, ahinoi, c’è anche chi, nel sicuro recinto del proprio piccolo benessere, si permette di alzare gli occhi al cielo e far da eco ironico alle parole di disperazione proferite. L’empatia non sarà cosa da tutti, ma farsi beffe del futuro del prossimo (volgarmente, del “culo altrui”) trovo sia il più basso ed infimo degli atteggiamenti umani.
Giunge infine il momento, per i danzatori tutti, di dischiudere la bellezza dell’arte di tersicore. Ha inizio così, Danza d’Autore… Bolero. La serata si apre con il duo maschile Plasma firmato dal coreografo romano, Valerio Longo. Già presentato nel 2016, sempre per il Massimo al Verdura, nell’assonante spettacolo estivo Waiting for Ravel-Bolero.
La coreografia in quella prima occasione, non aveva molto convinto pubblico e critica. Nata per un duo, ma rimasta in assolo per incredibili trascorse traversie, sembrava restar muta e immemore. Questa nuova attuazione, finalmente completa, ha riscattato quella prima messa in scena con nuova risolutezza. Plasma descrive, per mezzo della fisicità potente e tonica di due ballerini di grande perizia quali Alessandro Cascioli ed Emilio Barone, la sensualità impetuosa e vitale d’un pulsante cuore umano. La danza è improntata su di un comporsi, insieme voluttuoso ed erculeo, d’energie; nel loro fluire, rapprendersi e disperdersi. La musica, colta ed elettronica, di Marco De Pietri aggiunge sostanza al reciproco forgiarsi e alterarsi dei corpi.
Il gala prosegue trascolorando il lume contemporaneo, nel modernismo neoclassico de La Bella Addormentata, firmata dal coreografo torinese Matteo Levaggi. Un estratto dalla sua più audace, sofferta e conquistata impresa ballettistica.
L’estratto, onirico, dal II atto, in cui la principessa Aurora incontra per la prima volta il suo amato salvatore principe Désiré, è stato danzato con consueto trasporto ed inappuntabile equilibrio e sincronia da Romina Leone e Michele Morelli. Nel ruolo della Fata dei Lillà un intenso Gianluca Mascia, nelle figure puntute e roteanti del corpo, quanto mai accurato. Il brano è stato presentato alla città di Palermo, in una forma inedita. Rimodulato per le scene del Bellini di Catania rispetto alla sua prima stesura massimiana del 2017. La bellezza di questo pas de trois, così come dell’intera opera, sta nella singolare capacità del Levaggi di destrutturare concetti e forme, granitiche nella mente del fruitore, senza snaturarne l’elegia anzi accrescendone estetica e temperamento.
Si prosegue col pas de quatre dei giovani contadini, dalla celeberrima Giselle (capolavoro del balletto romantico) per la coreografia (in verità, assai fedele all’ottocentesca) del cubano Ricardo Nuñez. A Marcello Angelini, si deve, appositamente per il teatro Massimo, l’inserimento della seconda coppia danzante, rispetto all’unicum pas de deux nell’originale di Jean Coralli. Dunque, due coppie ed un celebre brano di repertorio.
Se il frizzante allegro d’apertura è ben eseguito per entrambi, sull’adagio a seguire si percepisce forte la défaillance, fisica e di tenuta delle posizioni, nell’abbinamento Francesca Bellone e Giovanni Traetto. Nel loro danzare traspare, poi, una certa spossatezza, che ne tradisce vigore e leggiadria. Decisamente più a loro agio, e dunque ben più apprezzabili, nel tecnicismo e nella grazia d’esecuzione la coppia formata da Diego Mulone e Linda Messina.
A chiudere il primo atto dello spettacolo, il trascinante pas de deux finale dal focoso e amatissimo Don Chisciotte (coreografie di Petipa su musiche di Minkus) nella mise-en-scène entusiasmante ed inappuntabile di Sara Renda (Kitri) e Alessio Rezza (Basilio).
Cosa poter scrivere, di qualcosa che ha rasentato la perfezione? L’étoile dell’Operà di Bordeaux, l’alcamese Sara Renda, ha danzato con rigore (sopraffina la sua tecnica di punta, tra eleganti arabesque e sfavillanti echappé) e l’immancabile percepibile divertimento (dentro fouetté e fulminei virtuosismi). Si ravvisa in Sara Renda una spiccata e piena maturità artistica. Il primo ballerino dell’Opera di Roma, Alessio Rezza non è stato da meno. Porteur longilineo ed elegante. La sua tecnica di salto è mirabile, gli atterraggi solidi e definiti, ogni suo movimento ha accento e colore. Classe e autentico vigore nel manège di grand pas jeté. Sulla posa finale, inginocchiati insieme croisé en avant, i due ballerini protendono il braccio destro verso l’imminente ovazione. Eccellente.
Protagonista del secondo atto della serata, nuovamente, il coreografo romano Valerio Longo con il suo armonico e fascinoso Quadro Ravel.
Se quel Bolero, nel titolo dello spettacolo e nella relativa affiche, ha funto da richiamo per i più, è il Quadro Ravel, nella sua complessa interezza, la raison d’etre dell’intera manifestazione coreutica. Per questo brano Longo dimostra d’aver dato fondo ad ogni sua recondita ispirazione ed intima risorsa creativa.
A comporre il Quadro Ravel la fiabesca suite per pianoforte Ma mère l’Oye -mia madre l’oca- (suggestivamente arrangiata per l’orchestra del Massimo, abilmente diretta dallo sloveno Simon Krečič). A cui è ricamato, con sorprendente soluzione di continuità, il celebre enfatico Bolero.
La Suite ispirata alle fiabe del Perrault, Madame d’Aulnoy e Madame Le Prince de Beaumont diviene incipit trasognato e mitologico al Bolero. Longo dipinge un’umanità dalla fisicità delicata e primordiale, come priva d’una sua precisa coscienza, rapita dentro specchi (tavoli quadrati, di ferro e vetro) opachi e luminosi, modellanti e deformanti. La danza si fonde profondamente a tali “impalcature” di scena, creando liriche rifrazioni amorose in stile Ila e la ninfa del fiume (Romina Leone e Vincenzo Carpino) e orientando i corpi ad incroci, estensioni, placide successioni a canone e contrazioni.
Al Bolero, tanto atteso, si giunge come all’evoluzione d’un sistema umano e naturale. I danzatori, affrontano un linguaggio fisico più complesso, accademico (seppur pregno di tangibili libertà stilistiche e d’atteggiamento),vibrato e carico di sfida. I tavoli, trasformati in un lungo scenario metafisico, parallelo al palco fisico.
Emerge una Yuriko Nishihara noir, dalla gestualità di braccia e spalle ampissima e drammatica.
Bolero si chiude in un veemente, contrastato, erotico pas de deux consegnato a Michele Morelli e Alessandro Casà. Quest’ultimo, aitante, atletico e ipnotico danzatore, nuovo alle scene del Massimo, e meritatamente valorizzato da Valerio Longo.
Michele Morelli, sul trionfante dell’ultima fase musicale, si colloca al centro, in battuta, slancio e vortice, d’un infinito estatico.
Spettacolo composito e intelligentemente organizzato nella sua progressione; una consistente prova d’esecuzione ed immedesimazione per l’intero Corpo di Ballo del teatro Massimo. In Danza d’Autore… Bolero si palesa, concreta, la difesa strenua e fiera di danza e balletto.
- Domenica 21, la replica (purtroppo monca del Pas de Deux dal Don Chisciotte) presso l’anfiteatro di Ventimiglia di Sicilia, alle ore 21:00.
fotografie di Rosellina Garbo.