Corvina e le 7 montagne è la ricerca colta e introspettiva che Gisella Vitrano dedica ad una eccellente antagonista. L’indimenticabile regina di Biancaneve si racconta e svela, lasciando comprendere che ancora molto ci sarebbe da scoprire di lei.
Corvina vive in simbiosi con i boschi delle 7 montagne, tra le piante medicinali, i gufi della notte ed i rapaci delle alture; conosce i segreti della natura, della terra e del cielo ed in essi, giocando, si cala e mimetizza. Il suo è un cosmo piccolo, raccolto, personale, intatto. L’attrice Gisella Vitrano introduce così la protagonista assoluta del suo monologo, Corvina.
Corvina è la regina, un doppio d’eco pirandelliano. C’è l’insicura fanciulla che abita con l’anziana e castrante madre e c’è la giovane donna che sgomita e si impone nel divenire regina. L’ascesa di Corvina è sospinta e corroborata da un tormentoso ed inappagabile desiderio. Un desiderio che, pervasivo e sempre più invadente, si fa volontà ed azione egoista e sanguinosa.
Corvina lascia il suo mondo nascosto nella foresta, piccolo e familiare. Lo lascia per la realtà del mondo, che la tratta come un ombra tra le ombre. Un contesto ostile che si amplia e diviene un regno, a lei all’improvviso prostrato. Il desiderio si concretizza, dunque, nella potenza e trascende in un malato delirio di onnipotenza generato, ancora, da altro desiderio.
La regina Corvina si staglia, altera e ghignante, su Biancaneve. Ne manipola l’esistenza, facendo della ragazzina un pupazzetto dai lunghi capelli neri ed il viso grande, bianco puro. Corvina è la regina pupàra della vita, della gioia, del dolore, della morte e finanche dell’amore della sgradita figliastra. Corvina è dipinta quale antitesi genética di Biancaneve.
Gisella Vitrano mette in luce l’esaltazione nefasta di un inarrestabile circolo vizioso. La mela avvelenata, il cammino alla volta della casetta dei sette nani, sulla via delle 7 montagne, è il percorso esistenziale di Corvina a ritroso; a voler dimostrare che anche il desiderio più infame può, effettivamente, realizzarsi, in barba a coloro che vogliono negarlo.
Tutto ciò che la scena suggerisce, vive e si realizza nel personaggio stesso di Corvina, sul suo corpo e sul suo abito multiforme e performativo, dalla fodera nera come la notte e lo sfarfallio candido delle piume che ne decorano l’esterno.
La suggestione della fabula e dell’enfasi interpretativa si legano ad una gestualità talora costretta talora marcata. L’ispirazione coreutica muove l’attrice tra la compostezza eterea e distaccata della regalità e la rigidità, meccanica e bruciante, d’uno spasimo senza soluzione. Gisella Vitrano costruisce una drammaturgia monodica vivida, dal carattere polimorfo (lirico, intenso e talvolta delicato) che trabocca in un racconto espanso e serio.
Corvina è manifestazione ed autoconsapevolezza, limpida e autentica, di se stessa. Per questa ragione incute terrore ed è oggetto d’odio e di risentimento. Per la stessa ragione nella mestizia desolante del suo tracollo è possibile provare per lei empatia, la pietas per coloro che sono destinati inevitabilmente alla sconfitta.
Gisella Vitrano lascia che Corvina esca dalla scena e rivolgendosi al pubblico esperisca l’ultima sua magia. La magia della fascinazione profonda, che di personaggi oscuri e controversi fa la fortuna presso i posteri, nell’incessante ricerca d’un quid, una motivazione di più, un recondito segreto, un altro perché. Teatro per ragazzi, una mera etichetta. Questo di Gisella Vitrano è un pezzo di teatro d’arte, semmai frenato da un target di fruitori forse obbligato.