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Come un Pupo di Zucchero l’idillio colorato e ricco d’energia di Emma Dante con la morte

Un pupo di zucchero, dolce zuccheroso e antropomorfo della tradizione culinaria meridionale, basta al genio sconfinato della drammaturga Emma Dante per costruire, estasiante, l’idillio con la più ostica delle sorelle dell’esistenza umana, la morte.

Pupo di ZuccheroIl teatro Biondo riapre le porte, ed il sipario, al suo affezionato pubblico ed alla stampa con l’anteprima regionale de “Pupo di Zucchero” ultimo entusiasmante lavoro della regista Emma Dante. 

Una anteprima che si fa festa, nella grazia radiosa in gran soirée rosso carminio, della direttrice Pamela Villoresi “aprire il sipario ai diversi spettacoli che si succederanno in scena sarà come lasciar aprire una lettera diversa per contenuto, emozione, sentimento e riflessione a ciascuno dei nostri spettatori”. 

Diviene poi, nelle parole del presidente Giovanni Puglisi,  rituale accademico “nell’etimologia della parola teatro, il verbo greco Théa – guardare. Il teatro è vita, quando è in presenza” oltreché auspicio istituzionale “è nostra ferma intenzione mantenere la qualità dell’offerta culturale per realizzare quell’up grade capace di far conseguire al Biondo la qualifica di Teatro Nazionale“.

Il preambolo si chiude ed il buio, generatore, inghiotte il golfo mistico lasciando ad un occhio di bue l’intercapedine d’un trittico femminile. Tre fanciulle, che come guglie d’una cattedrale Pupo di Zucchero gotica, svettano tra sommesse preghiere, canti antichi  e rintocchi di campanelle. Sotto di loro un’anziano, distinto e bianco signore raccolto nell’estasi assonnata d’una incessante attesa.

Il Vecchio (così lo appella la stessa Dante nel libretto di sala) attende che l’impasto di farina, acqua e zucchero, lieviti,  gonfi e si ingrossi per diventar, ad onore e tradizione della festività dei defunti, foggia e sembianza umana. In quella attesa trepidante, quasi di bimbo alle soglie della festività, il disegno sospiroso di rinverdire, con l’età,  l’umana compagnia, ormai trapassata, della propria famiglia.

Una attesa che resta vana assenza nel mondo tangibile della realtà, ma che invece è presenza in una indissolubile dimensione parallela e del tutto prospicente. Fantasmi d’un oltretomba che resta sulla terra, ricordi indelebili e vividi come proiezioni dell’umano, ologrammi di vita dei quali le cose restano impregnate.

Pupo di ZuccheroRosa, Viola e Primula (Nancy Trabona, Maria Sgro e Federica Greco) sorelle del Vecchio, deflagrano il granitico altarino triangolare in nero per  godere d’un esistenza mai davvero placata e sazia. Si slanciano, ancora, in un vitale delirio di irrefrenabile gioia, sorridenti Piccole Donne ludiche, canore e danzanti in  camicie da notte sgargianti.

Da loro generato e redivivo, tra liricità ed indomabile vorticare di energia, si  manifesta l’intero nucleo familiare del Vecchio. L’oltremondano che è vita, continuum spazio temporale anche quando, in qualche modo, eternato.

Scenicamente una colorita narrazione corporea che si abbandona ad una rappresentazione insieme lineare, coincidente e concentrica, a tratti cinematografica. Una soluzione in grado di far stridere risolutamente la tenerezza spavalda di Pedro, sanguigno  pretendente spagnolo di una innamorata e rapita Viola  con l’egoistica sopraffazione violenta di zio Antonio sulla passionalità priva di raziocinio di zia Rita.

Vita vissuta che si protende e come un tuffo al cuore ringiovanisce le membra ricurve della dolce Mammina, nello scalciare scatenato d’una provetta ballerina di charleston. Vita che però non torna indietro, benché il vecchio si impegni a tirarne, con vigore, la lunga, pesante e splendente catena  sino al suo termine.Pupo di Zucchero

La famiglia, ovvero persone, caratteri, caratteristi e caricature, per un manipolo di straordinari attori, estensione corporea vigorosa e poliedrica della Dante, a riempire una scrittura drammaturgica potentissima e catalizzante. La lingua napoletana, a tratti ostica, del Vecchio (Carmine Maringola) a legarsi, ipnotica, al dialetto marsigliese scivolato e condensato della sua Mammina (Stephanie Taillandier).

Sarà l’intera famiglia oltremondana ad aiutare il Vecchio a concludere il Pupo di Zucchero. Il fantoccio gustoso e riccamente decorato servirà a consolidare, in una parata sostenuta da strumenti a fiato e a percussione della tradizione partenopea, il transfer con la loro dimensione.

 In Pupo di Zucchero la morte è un tutt’uno dialettico e autentico con la vita, e resta scevra d’ogni  tabù.

L’ultima immagine dello spettacolo è da antologia iconografica: un luogo di sepoltura, in tutto similare alle famigerate catacombe  palermitane della chiesa dei Cappuccini ove cadaveri appesi (10 scioccanti, ma bellissime, sculture dell’artista Cesare Inzerilllo) si decompongono lentamente ed una veglia, quella del Vecchio, (al ticchettare di un rosario sgranato) che è insieme catarsi, desiderio di ricongiungimento  con la vita, finalmente, in un sereno oblio.

 

 

 

 

 

 

Enrico Rosolino

Enrico Rosolino apre il suo cuore al mondo delle arti alla tenera età di 2 anni, allorquando assiste alla proiezione cinematografica del lungometraggio animato di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani. Ha inizio così un lungo percorso di scoperta e apprendimento nel variegato e sfaccettato mondo delle arti. Da piccolissimo si appassiona alla recitazione. Negli studi pone molta enfasi e impegno nelle materie umanistiche e, dunque, sceglie un liceo Classico. Durante l'adolescenza si diletta nella lettura ed interpretazione -a voce alta- dei classici greci. A 15 anni si avvicina concretamente al mondo della danza. Prende lezioni di balletto classico per 12 anni, e ad anni alterni segue dei corsi di danza moderna e contemporanea. L'arte coreutica diviene la sua più grande passione e territorio prolifico di ricerca. Si laurea allo STAMS di Palermo, e si specializza al DAMS di Bologna. Nel capoluogo emiliano affina e porta a più completa maturazione le sue conoscenze e il suo senso estetico e critico d'ambito teatrale. Viaggia molto, visita Parigi, New York, Londra, Barcellona, Copenaghen, Boston, Atene e molte altre città del mondo godendo di un approccio diretto e sentimentale con le di loro bellezze artistiche e culturali. Vive attualmente a Palermo e coltiva moltissimi interessi nei più svariati contesti. Da giugno del 2021 è iscritto nell'elenco dei giornalisti pubblicisti presso l'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, per Verve si occuperà della rubrica dedicata al Teatro, alla cultura, e agli eventi dal vivo.

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