Una Cinderella reietta e vessata debutta al Teatro Massimo, coinvolgendo il pubblico palermitano nel dramma dell’emarginazione.
Per il Teatro Massimo di Palermo sarà Cinderella (un inglesismo per differenziarla dalla protagonista dell’Opera di Gioacchino Rossini, andata in scena lo scorso Aprile), tuttavia, al momento del suo concepimento coreutico nel 2006 ad opera del coreografo romano Fabrizio Monteverde per la compagnia di giro “il Balletto di Roma“, il titolo era semplicemente Cenerentola.
Il balletto, ripreso a nove anni di distanza dal debutto, è presentato al pubblico del Massimo nella sua complessa struttura concettuale e nel rigore esibito della sua estetica coreografica.
Fabrizio Monteverde scopre una Cenerentola viva e vera nella versione crudele e sanguinosa che della fiaba ci restituiscono i fratelli Grimm e la assimila, nella rielaborazione narrativa della scena, alle sfumature vittoriane di Sara protagonista del romanzo “La piccola Principessa” di Frances Hodgson Burnett, salvo poi destrutturare il tutto nel livido concretizzarsi di un realismo sovietico a sua volta deformato da bieche atmosfere in odor di espressionismo tedesco.
Cinderella gravita come una luce splendete dentro un microcosmo greve, funereo e ostile. Sola e vessata, sperimenta su di sé il dramma dell’emarginazione. La soave sofferenza della fanciulla, inoltre, non trova in questo racconto coreutico alcuna consolazione, poiché ella non vive nella amata casa paterna -come vuole la fiaba- ma in un rigoroso collegio per signorine la cui direzione è affidata all’imponente e dispotica figura della matrigna.
Nell’interpretazione che di Cinderella dà la lunare e sempre eccellente ballerina albanese Anbeta Toromani, si evince l’intensa tragicità della sua condizione di reietta. Il suo vivere quotidiano è oppresso, violato, crocifisso nella claustrofobica morsa che la tirannica matrigna le va costruendo intorno. La sua soave personalità è privata dei sogni e di qualsivoglia attesa: la matrigna la stringe a sé e, sollevandola da terra, la costringe a guardare inesorabilmente verso il basso. Nell’incontro con il Principe (più verosimilmente l’aitante allievo di un accademia per soli uomini) si paleserà per Cinderella una nuova visione della vita: contravvenendo a quanto da lei vissuto fino a quel momento, sperimenterà quanto la mascolinità spiccata del giovane possa, in lift eterei ed energici, regalarle un senso di ritrovata libertà, ardore e appagamento sensuale.
La matrigna, nelle poderose fattezze del lodevole danzatore Riccardo Riccio, è un concentrato di indisponente inumanità; le sorellastre nonché allieve predilette della donna –Francesca Bellone e Jessica Tranchina– sono caricaturali marionette dalle movenze agitate e dallo scalpiccio nervoso. Il cubano José Perez, con il suo fisico bruno e possente, ha conferito al ruolo del Principe umanità, smarrimento e dolcezza, tralasciando melensi classicheggianti atteggiamenti eroici. L’accurata selezione di musiche ed arie barocche di Georg Friedrich Händel si è amalgamata, studiatamente, alla dolente natura umana di questa Cinderella ed alla sua danza che sfalda pose e canoni della tecnica classica, contorcendosi lirica in movenze proprie al linguaggio coreutico contemporaneo; ma ha lasciato, altresì, spazio alla fascinazione del solo elemento magico e immaginifico della messa in scena ovvero l’apparire pittorico e onirico di lucciole fatate che, nel buio della notte, si raccolgono intorno alla nostra eroina vestendola e calzandola di un leggiadro sfavillare prospiciente una nuova esistenza e suggellante un discorso d’amorosi sensi degnamente concluso.