Bendati e condotti in nuove dimensioni sensoriali. Enrico Rosolino e Sabrina Gottuso vi raccontano la loro esperienza dopo aver preso parte alla performance “Cecità” del coreografo residente Matteo Levaggi al teatro Massimo di Palermo
Un matinée con il corpo di ballo del teatro Massimo. Un’idea del coreografo residente Matteo Levaggi. Un’esperienza nuova, dalle grandi potenzialità ed in grado di evolversi ancora verso nuove prospettive. Ma, soprattutto, un percorso sensoriale tra musica classica, interazione corporeo-coreutica, una cecità programmata e l’alterazione indotta e sospinta dei restanti quattro sensi. Tutto questo è Cecità!
Enrico Rosolino e Sabrina Gottuso, rispettivamente critico teatrale e blogger di Verve, lo hanno provato per voi. Alla vostra gentile attenzione il loro vivere quest’esperienza tra soggettività, indole, carattere e percezioni.
Enrico Rosolino: “Un piede oltre il sipario”
Ballerini ieratici, una foresta di immobili magnifiche statue. Noi, un tumulto serafico di umanità estranea al gruppo degli artisti. Un mood straniante.
Poi, come in un gran ballo dell’ottocento, ci si ritrova ad essere scelti. Una ballerina, cara amica e artista stimata, mi accoglie. Da sotto la maschera che cela il suo volto, la riconosco per le mani flessuose e gentili e per i lunghi capelli neri. Steso sul pavimento, chiudo gli occhi. Un tocco delicato ma incisivo mi porta ad abbandonarmi.
Mani, collo, nuca, spalle, braccia, gambe. Mi allineo e ammorbidisco, apro i sensi e il rendo recettivi. Il passaggio nel corridoio è spiccatamente coreutico, fianco a fianco, passo dopo passo, la seguo in sincrono. Un unico respiro. Bendato, comincia la cecità.
Un spessa fascia nera; una domanda di lei, sussurrata, e il mio udito, che subito fa cilecca. La mia testa si sposta, nel tentativo di sentir meglio. Le nostre fronti cozzano, primo contatto. Autentico. Sala Pompeiana, famosa per l’eco miracolosa. Un tuffo in un oblio che mi destabilizza.
Che posto occupo nell’ambiente circostante? Muovo cautamente le braccia intorno a me, a compasso. Una mano mi conforta. Ricompongo gli arti. Finalmente mi convinco che è giusto trascendere l’ubicazione nello spazio. Sono dentro un oceano di gocce, avvolto nel suo fragore. Assaporo il profumo della mia ballerina, una fresca fragranza da donna. Contraggo le spalle d’istinto, ma mi lascio condurre. Accarezzo un muro intrecciato, una foglia sottile e porosa. Una maniglia fredda e scintillante (lo avverto al solo stringerla) mi dà un brivido. Mi abbraccio, mani ancora diverse mi cingono le spalle. Altre mani sconosciute prendono le mie, freddo e caldo che si sfidano. Lentamente mi abbasso verso terra.
Nel buio, il movimento che un’altro corpo agisce su me è interiorizzato, tanto quanto gli equilibri e le forze contrapposte che si manifestano nei miei muscoli e tendini. Sono avvinto. Un lembo della benda saetta sul mio collo, come un insetto. Port de bras e cambré. Ed è ancora la mia ballerina che risveglia una personalissima adorata memoria, nel plasmarsi tattile della sua figura.
L’oscurità mi ha rapito, non sono pronto per tornare alla luce. Posso sentire ancora, forse più approfonditamente. Vorrei aggiungere ancora un tassello. Bagliore.
Sabrina Gottuso: ” Una catarsi dell’anima”
E’ chiaro sin da subito che “Cecità” sia un’esperimento catartico molto interessante. L’amalgama tra ospiti e ballerini del teatro si manifesta in una sfilata di corpi senza identità. Tra maschere nere di nylon, quelle indossate dai danzatori, e bendaggi oscuranti agli occhi, quelle degli spettatori-performer, come mine vaganti ci si muove in spazi che perdono ogni connotazione visiva. Le dimensioni si rinnovano, divenendo i corpi stessi dei ballerini misure e limiti dello spazio circostante.
Dopo una prima ed istintiva ribellione, la mia mente accetta di affidare il corpo al mio ballerino. Mio, proprio così, perchè è lui che sceglie me ed io sento subito di appartenergli. Concettualmente romantico, forse, ma autentico.
Unico appiglio in una dimensione costituita esclusivamente di suoni e sensazioni, il danzatore traghetta i quattro sensi rimasti in un programma serrato di purificazione.
La mente si libera, il corpo si rilassa. Sono pronta a danzare al buio con il mio misterioso cavaliere. Le nostre braccia disegnano cerchi, diagonali; giro su me stessa più volte e per la prima volta dall’inizio del percorso riacquisto un incedere sicuro. Uno schioccare di dita anima la stanza di echi ovattati, ma la sensazione è quella di non esserci realmente.
Pervasa da un’inaspettato senso di calma, mi lascio sfiorare dai gesti armoniosi del mio ballerino, una sequenza che sfocia nello stringersi in un abbraccio lento ma intenso. Siamo corpo contro corpo, l’uno di fronte l’altro. Le mani si adattano a “leggere” il volto della mia guida. I polpastrelli scorrono sulla sua barba incolta, si fermano ai lobi delle orecchie e sui capelli. Malgrado la momentanea cecità, potrei giurare di aver perfettamente individuato l’identità fisicamente gradevole del ballerino che traghetta il mio corpo nell’ignoto.
La sensazione di sentirmi libera nel buio arriva sin da subito, ma è l’affidamento all’altra persona che genera in me la sicurezza di poter ascoltare gli altri sensi.
Cecità insegna ad avere fiducia in sè stessi e negli altri, a governare la mente quando il panico vorrebbe bussare alla porta.
Sento che sto per estraniarmi dal mondo. Mi vien tolta la benda dagli occhi ed una luce accecante risveglia violentemente la vista. Il ritorno alla realtà è brusco ma addolcito da un’immagine deliziosa. Il mio ballerino ha un volto angelico e le mie mani avevano “letto” benissimo.
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