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Autunno d’Opera al teatro Massimo, La Traviata intramontabile di Giuseppe Verdi

Ritorna La Traviata di Giuseppe Verdi e Francesco Maria Piave, sulla scena del Teatro Massimo di Palermo. Ripresa fedelmente, dall’aiuto regista fiorentina Angelica Dettori, la regia di Mario Pontiggia già al Massimo nel 2017. Invero, con qualche sordida sensualità aggiuntiva. 

La Traviata

È La Traviata che ritorna, questa di Pontiggia tramite la Dettori, agli occhi del pubblico palermitano come un buon ricordo rifulge talvolta nella nostra memoria episodica. Una traviata alla quale fiumi di parole, encomi e condivisioni son stati profusi nella primavera del 2017. 

La Traviata della Belle Epoque stile Liberty, con una Palermo parigina splendente di ramage dorati e costretta tra pesanti drappi purpurei di Francesco Zito.

Una Traviata alla quale, nel 2017, lo stilista francese Emanuel Ungaro e l’esperto naso creativo Alberto Morillas dedicarono alcune fragranze floreali, da aspergere in sala durante lo spettacolo. 

Uno spettacolo gradevole, privo di grandi sorprese. Ma che suona come un caloroso e familiare “Bentornato!” al pubblico della lirica dopo la pausa estiva.

La Traviata

Ad impersonare la protagonista, la cortigiana Violetta Valery, la soprano spagnola e astro nascente della lirica, Ruth Iniesta. D’inclinazione vivace ma ben assimilata ad una profonda espressività drammatica, l’artista ha inebriato il pubblico della sua agile vocalità. Nitido il fraseggio. Corposi i fiati, in grado di seguir al meglio, e quasi senza sbavatura alcuna, linee melodiche, tonalità cangianti e gorgheggi.

La TraviataA voce spiegata nel sovracuto, che svetta in chiusura della cabaletta “Sempre libera degg’io folleggiare” su una posa languida e vogliosa. Un filo etereo di voce, tra tenui sospiri morenti, nella romanza “Addio, del passato bei sogni ridenti” completa di seconda strofa, la più mesta e spesso tagliata. Carica di struggente patos la morte di Violetta (a decretare il trionfo della Iniesta).

Di contro, non può dirsi esaltante la performance del tenore, Francesco Castoro. Sguardo da bambinone, e a dire il vero Alfredo Germont un po’ lo è, Castoro sembra rincorrere a perdifiato una fuggevole presenza scenica. La voce, anche troppo flebile e leggera, si calibra bene su duetti d’amore quale “Croce e delizia” al I atto, ma non romba, non spinge, allorché si giunge al fuoco vivo della cabaletta “Oh mio rimorso!… Oh infamia…” al II atto. Riesce a dar il giusto colore all’arietta dell’ira e del disprezzo “Ogni suo aver tal femmina” ma inciampa (fisicamente) e rischia di rovinare a terra nel bel mezzo, drammaticissimo, del III atto.

A riscuotere un grande successo è invece il baritono Simone Del Savio nel ruolo di Papà Giorgio Germont. Fisico imponente, recitazione salda e sentita, ed una voce calda e limpida, ben impostata nelle scale di tono e sui giusti accenti. Ad attenderlo, a sipario abbassato, un’ovazione.

A completare la messa in scena, il coro del teatro Massimo in stato di grazia, con i membri dell’armonico ensemble riposati e quanto mai vividi nella resa esplosiva e frizzante di temi quali “Si ridesta in ciel l’Aurora” al I atto, Zingarelle e Mattadori al II quadro del II atto.

Il corpo di Ballo, è invece ben rappresentato dalla coppia di corifei Gaetano La Mantia, impetuoso nel ruolo di Piquillo Mattador, e Monica Piazza morbida in ampi scenografici decalè nelle vesti d’andalusa giovinetta.

Tra contorno e sostegno della trama non si può eludere la buona prova  interpretativa del basso baritono Lorenzo Grante (Barone Douphol) della mezzosoprano Carlotta Vichi (Flora Bervoix) del basso Alessandro Abis (Dottor De Grenvil) e della soprano Piera Bivona (la serva Annina). 

La Traviata, come il pubblico anela vederla, spettacolo per gli occhi, coinvolgente per l’anima ed il cuore. Prodigio di valzer, superficie specchiata di lugubri preludi e marce funebri, nella  sottolineatura dell’orchestra del teatro Massimo guidata dal maestro Alberto Maniaci.La Traviata

 

Nulla di nuovo sotto il siculo sole settembrino, ma La Traviata imperitura rifulge di per se stessa. Repliche ancora il 19, 21, 25, 27 settembre 2019. Fotografie di Rosellina Garbo.

 

Enrico Rosolino

Enrico Rosolino apre il suo cuore al mondo delle arti alla tenera età di 2 anni, allorquando assiste alla proiezione cinematografica del lungometraggio animato di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani. Ha inizio così un lungo percorso di scoperta e apprendimento nel variegato e sfaccettato mondo delle arti. Da piccolissimo si appassiona alla recitazione. Negli studi pone molta enfasi e impegno nelle materie umanistiche e, dunque, sceglie un liceo Classico. Durante l'adolescenza si diletta nella lettura ed interpretazione -a voce alta- dei classici greci. A 15 anni si avvicina concretamente al mondo della danza. Prende lezioni di balletto classico per 12 anni, e ad anni alterni segue dei corsi di danza moderna e contemporanea. L'arte coreutica diviene la sua più grande passione e territorio prolifico di ricerca. Si laurea allo STAMS di Palermo, e si specializza al DAMS di Bologna. Nel capoluogo emiliano affina e porta a più completa maturazione le sue conoscenze e il suo senso estetico e critico d'ambito teatrale. Viaggia molto, visita Parigi, New York, Londra, Barcellona, Copenaghen, Boston, Atene e molte altre città del mondo godendo di un approccio diretto e sentimentale con le di loro bellezze artistiche e culturali. Vive attualmente a Palermo e coltiva moltissimi interessi nei più svariati contesti. Da giugno del 2021 è iscritto nell'elenco dei giornalisti pubblicisti presso l'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, per Verve si occuperà della rubrica dedicata al Teatro, alla cultura, e agli eventi dal vivo.

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