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Il musical My Fair Lady un esperimento totaly british al teatro Massimo di Palermo

Lo spettacolo di punta nella stagione 2019 del Teatro Massimo, questo sarebbe dovuto essere My Fair Lady, celeberrimo musical firmato Lerner e Loewe, qui con la regia di Paul Curran. In realtà, per la fondazione lirica, sembra sia un curioso quanto utile esperimento di pubblico gradimento. Un perfetto musical da West End londinese, lasciato fruire nella sua forma più vivida e autentica, a parterre “d’altri lidi” che del genere poco conoscono o addirittura disprezzano. Le  sole sette repliche confermerebbero tale ipotesi.

My Fair Lady

Dunque un esperimento, una scommessa; My Fair Lady nel tempio della lirica palermitana, come lo si potrebbe godere nell’ambiente anglo americano della totaly performance. Per i meno avvezzi, quel crogiolo di teatri, talenti e grandi ingegni, che da Broadway al West End, con Julie Andrew e Rex Harrison, sino al cinema con Audrey Hepburn, ne ha decretato la fortuna e imperitura memoria.

Un musical di razza, dunque, brillante e arguto, leggiadro e pervaso di humor. Splendidamente recitato e cantato, per intero, in lingua originale.

Dapprima l’inglese Cockney, dialettale, agile e spontaneo dei quartieri popolari e della classe operaia londinese. In un secondo momento la british received pronunciation, propria a nobili e personaggi istruiti, ben più affettata, scrupolosa e geometrica.

My Fair Lady

Se si pensa che la storia stessa della fioraia Eliza Dolittle ruota intorno proprio ad un esperimento socio-educativo, condotto con dovizia di particolari e imperturbabile accanimento, dal massimo esperto di fonetica professor Henry Higgins. Siamo nell’ambito della piena sperimentazione, ça va sans dire!

A dar vitalità ed impeto alla scena un cast interamente anglofono, e non poteva esser diversamente. Attori/cantanti/danzatori provenienti dal West End londinese. Una Londra che è presente sul palco, già dal sipario. Sulla tela la gigantografia d’una mappa della City, d’epoca edoardiana.

Eliza Dolittle è il personaggio femminile del teatro musicale per antonomasia. Reale banco di prova per qualsivoglia interprete. Con cotanta pietra miliare si confronta Nancy Sullivan. Figura esile ed un importante naso romano su un viso minuto e appuntito, la Sullivan ha opportunamente calibrato, nella recitazione,  toni sguaiati e infantili tipici del caratterista a sfumature più ieratiche, romantiche e serie proprie ad una protagonista.

Nel canto la Sullivan ha sfoggiato il suo soprano leggero, disinvolto e vivace. Vocalità fresca e fanciullesca sul motivetto di spazzacamini e fioraie Oh, I wouldn’t be lovely, si fa più eterea e trasognata nell’arietta I could have danced all night, immersa in un notturno dalla luna piena, con acuto finale in svettante falsetto. Diviene infine veemente, con fiati estesi, nella song Show me, dalle articolate strofe a precipizio e l’inciso in vorticoso crescendo.

My Fair LadyCoprotagonista eccellente della Sullivan l’attore Robert Hands, nel ruolo dell’esperto di fonetica il  professor Henry Higgins. Mimica ampia, magniloquente e muscolare, su una vocalità sempre mutevole: stentorea e marziale, finanche  acuminata, quando non pregna di mascolina soffiata pacatezza (perfetta nel monologo su ritmo di marcia Why Can’t a Woman Be More Like a Man?). Nella posa rilassata, le gambe distese e le mani come cuscino dietro la testa, l’omaggio all’indimenticabile Rex Harrison.

Aggraziato e sbarazzino il colonnello Pickering nelle persona aitante, e a primo acchito un po’ ingessata, dell’attore John Conroy. Toni e ritmo vocale da compita vecchia Inghilterra per l’attrice Rosemary Ashe, nel ruolo della governante Mrs.Pearce, in grado di rievocare la Miss. Teapot disneyana nel doppiaggio di Angela Lansbury. Delicato, terso e servile, come ogni giovane innamorato sa essere, il Freddy Eynsford-Hill del longilineo e avvenente Rhys Whitfield. Voce carezzevole da baritono leggero, si lascia sospirare nella romanza On the street where you live.

My Fair Lady

Colore e goliardia da Music-Hall, per il molleggiato Martyn Ellis nel ruolo del padre di Eliza, Alfred P. Doolittle. Questi è il vero mattatore di quel magnifico ensemble coreutico che si compone sulla spavalda canzoncina Get me to the Church on time. Tripudio di can-can, Temps de flèche, spaccate, grand pirouette e geniali lift di slancio e figura create dal coreografo Kyle Lang.

Non si è tralasciato di esaltare le mirabilissime doti dei performers di compagnia che, in ruoli secondari danzanti e corali,  hanno impreziosito e completato la messa in scena.  Ad essi si sono aggiunti di buon rinforzo, con divertimento e perizia, alcuni  artisti del coro e del corpo di ballo del teatro Massimo.

My Fair LadyProdigiosa la ripresa dei costumi-soprattutto nei cappelli femminili, a falda larga ricchi di velette, pizzi, gale e marabù- del geniale Cecil Beaton (primo e osannato costumista di questo spettacolo) firmata da Giusi Giustino nella scena da carillon cortese delle corse dei cavalli ad Ascot.

Centrata  la regia di Paul Curran in puro Broadway style, in quanto a fisicità e feeling interpretativo. Scevro di ammiccamenti  arruffa pubblico all’italiana o pantomime da vaudeville. E se del regista appare amara la decisione di tagliare il quadro del ballo all’ambasciata (pomposo, più che altro musicale e ballettistico, spesso comunque tralasciato in altre produzioni teatrali) non si può non ammirare la scelta di giocose schermaglie d’amore, sul finale ricongiungersi di Eliza ad Higgins, al posto della velata subordinazione che invece traspariva dalla pellicola di George Cukor.

 Il pubblico palermitano, invero, è parso carburare con My Fair Lady piuttosto gradualmente. Si è entusiasmato, a ragione, dell’idillio allegro sul celeberrimo speaking duett The Rain in Spain (in Italia, la rana in spagna gracida in campagna) ma non ha saputo ben dove, e quando, piazzare gli applausi, lasciando cadere in un silenzio neutro alcuni grandiosi pezzi di bravura.

L’inglese poi, alquanto ostico a tanti, ha imperversato sulla fruizione del playing role. Il dirottamento, per la comprensione degli effervescenti e ironici dialoghi del Lerner, sulla traduzione simultanea  in sopra-titolo, ha causato un penoso scollamento tra action and  reaction. Un brutto colpo per una formula teatrale fluida qual è il musical.  A compensare le carenze linguistiche l’orchestra Massimina, ottimamente diretta, dal maestro Wayne Marshall, in grado di restituire all’udito il mosaico musicale, vibrante, titillante, roboante e in roseo crescendo dell’opera di Loewe.

Tuttavia non sono mancati applausi scroscianti, qualche ovazione a gran voce ed una rosa rossa lanciata da uno dei palchi a destra della scena. Il musical, arte di grazia e divertimento, e la sua diletta My Fair Lady avranno fatto breccia nell’italico cuore operistico?  L’esperimento sarà effettivamente riuscito? Ai posteri l’ardua sentenza.

Enrico Rosolino

Enrico Rosolino apre il suo cuore al mondo delle arti alla tenera età di 2 anni, allorquando assiste alla proiezione cinematografica del lungometraggio animato di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani. Ha inizio così un lungo percorso di scoperta e apprendimento nel variegato e sfaccettato mondo delle arti. Da piccolissimo si appassiona alla recitazione. Negli studi pone molta enfasi e impegno nelle materie umanistiche e, dunque, sceglie un liceo Classico. Durante l'adolescenza si diletta nella lettura ed interpretazione -a voce alta- dei classici greci. A 15 anni si avvicina concretamente al mondo della danza. Prende lezioni di balletto classico per 12 anni, e ad anni alterni segue dei corsi di danza moderna e contemporanea. L'arte coreutica diviene la sua più grande passione e territorio prolifico di ricerca. Si laurea allo STAMS di Palermo, e si specializza al DAMS di Bologna. Nel capoluogo emiliano affina e porta a più completa maturazione le sue conoscenze e il suo senso estetico e critico d'ambito teatrale. Viaggia molto, visita Parigi, New York, Londra, Barcellona, Copenaghen, Boston, Atene e molte altre città del mondo godendo di un approccio diretto e sentimentale con le di loro bellezze artistiche e culturali. Vive attualmente a Palermo e coltiva moltissimi interessi nei più svariati contesti. Da giugno del 2021 è iscritto nell'elenco dei giornalisti pubblicisti presso l'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, per Verve si occuperà della rubrica dedicata al Teatro, alla cultura, e agli eventi dal vivo.

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